Molte aziende esportatrici “investono” all’estero in fabbriche-cacciavite, quelle che assemblano parti realizzate altrove per sfornare prodotti finiti apparentemente fabbricati in loco e poi messi in vendita a basso prezzo. È un cavallo di Troia efficace introdotto nelle sfide competitive della globalizzazione, specialmente dove la “Fabbrica” viene intesa solo come “Stipendificio” e la cultura predominante è più quella del “consumatore” viziato che del “cittadino” prudente.
Stranamente, si preferisce ignorare che tali aziende non offrono posti di lavoro duraturi. Poiché l’unica certezza nei mercati sta negli equilibri instabili, prima o poi ogni fabbrica-cacciavite verrà dismessa, nella disperazione dei dipendenti rimasti senza reddito. In cambio si darà il via al solito ambaradan (utile come la forfora quando sono scappati i buoi) di scioperi e proteste pubbliche per far lievitare l’indignazione popolare. Indignazione solo per i licenziamenti, beninteso, non per la concorrenza sleale delle fabbriche-cacciavite!
Come mai non si vigila per prevenire inevitabili falcidie occupazionali?
Probabilmente perché l’indefinito ruolo di consumatore (senza doveri) assegnato dalla Costituzione ad ogni cittadino (che invece di doveri ne ha tanti) equivale all’esortazione agli acquisti continui, per cui la spesa del “cittadino” soggiace costantemente ai limiti del portafoglio e alle voglie del “consumatore”. Così, dato che a quest’ultimo piace da morire comprare prodotti cinesi che costano la metà degli equivalenti europei, non esita a far morire le industrie europee per crollo delle vendite. Necrofori, questi consumatori.
È tempo che venga ammessa alle Olimpiadi una nuova, raffinata, disciplina sportiva: segare il ramo su cui siede l’atleta che lo taglia via dall’albero.
La squadra italiana, grazie alla dedizione nazionalpopolare all’acquisto di merci che costano (e valgono) come la segatura, avrebbe buone probabilità di vittoria.
Paolo Giardini