di Tommaso Piacentini
Egoista. Un aggettivo che nell’immaginario collettivo è attribuito con significato negativo verso chi pensa prima a sé che all’altro. Un operatore sociale può essere egoista? O meglio, chi salva vite, chi si preoccupa di assistere chi è in difficoltà, chi decide di non girarsi dall’altra parte, può essere mosso dall’egoismo?
Alessandro Metz da 33 anni è un operatore sociale – anzi, un “armatore sociale”, come l’ha definito la carta stampata – ed è l’esempio di come l’egoismo non sia solamente da considerare in accezione negativa, bensì sia la spinta propulsoria a fare del bene. D’altronde è stato lui stesso a confermarlo nell’incontro promosso da Mediterranea moderato da Girolamo De Michele e svoltosi venerdì 14 marzo al Factory Grisù: “Io lo faccio per me. Io sono egoista, io voglio star bene e migliorare la qualità della mia vita. Ma per farlo non posso vivere in un mondo di m…”.
Metz è cresciuto a Trieste, la città di Franco Basaglia, fautore dell’omonima legge che nel ‘78 permise la chiusura dei manicomi nel nostro Paese. Per l’armatore sociale, Basaglia è un vero e proprio esempio di come l’impossibile diventi possibile: “Il 13 maggio del 1978 – ha affermato Metz –, giorno in cui venne approvata la legge 180 alla Camera, Franco Basaglia disse: ‘Guardate che i manicomi prima o poi li riapriranno, ma noi oggi abbiamo dimostrato che si può fare’”. Proprio questa affermazione è significativa per due motivi secondo Metz: in primis perché “di manicomi oggi ne abbiamo tanti intorno, come i Cpl, le carceri e molte case di riposo” che sono “contenitori in cui inserire una categoria sociale togliendo il libero arbitrio e la possibilità di agire sulla propria vita, quindi ripristinando le dinamiche manicomiali”; in secondo luogo perché la nave da lui acquistata per salvare vite umane in mare – da questo gli deriva l’epiteto di “armatore sociale”– è l’evidenza di come, nonostante tutto, la possibilità possa diventare una realtà.
La Mare Jonio è ad oggi l’unica nave di monitoraggio e soccorso battente bandiera italiana nel mare nostrum. Acquistata da Metz nel 2018, è stata l’esempio di ciò che 40 anni prima sosteneva Basaglia: “Guardate che quando abbiamo comprato la nave era impossibile – ha affermato Metz –. Era impossibile comprare una nave, farla partire, fare le missioni, perché noi partivamo senza conoscenze, senza competenze e senza soldi. Però c’è stata una volontà molto forte che ha fatto sì che in quel momento, in cui il racconto unico di una campagna elettorale razzista e xenofoba si basava su ‘chiudere i porti’ e andare ‘contro i taxi del mare’, comprare una nave significasse praticare la differenza”.
La differenza viene praticata anche da un punto di vista simbolico: “Quando la vita si impone un muro non può fermarti” ha dichiarato l’armatore sociale raccontando un episodio accaduto a Trieste che ha visto come protagonista ancora una volta l’ideatore della legge 180. I rinchiusi nel manicomio avevano costruito un cavallo di cartapesta di grandi dimensioni al cui interno avevano inserito dei biglietti contenenti i loro sogni. Per portarlo all’esterno e non riuscendo a farlo passare attraverso una porta di ferro, Basaglia prese una panchina e ruppe la porta.
“Simbolicamente il cavallo aveva quei sogni che bisognava portare fuori e io vedo in una Mare Jonio qualcosa che è andato a cercare quei sogni, non ce li aveva già in pancia – ha dichiarato Metz –. Però in mezzo al mare in cui abbiamo trovato sogni, desideri e progetti di vita, abbiamo trovato anche una forza incredibile: la forza del sopravvissuto, la forza di chi ha attraversato il deserto, di chi ha vissuto mesi o anni nei campi di concentramento in Libia, è stato venduto come schiavo, per lavoro o per sfruttamento sessuale, ha attraversato il mare e nonostante tutto è ancora vivo. Nonostante tutto quel sogno ha fatto sì che rimanesse vivo o viva”.
Pescatori di anime ma anche di sogni, quindi, i membri dell’equipaggio della Mar Jonio, che rifiutano di pensare che la retorica funzioni quando la realtà ti si presenta davanti agli occhi: “Se la maggior parte di quelli che dicono ‘Lasciateli affogare’ si trovassero in mezzo al mare, in quella situazione, io sono convinto che quelle persone le salverebbero, perché fa la differenza vedere una mamma, un bambino o una bambina che in quel momento sta per morire e tu puoi allungare la mano” sono le parole di Metz.
In conclusione, per l’armatore sociale l’importante non è la quantità di vite salvate, ma chi viene salvato, con le loro storie e i loro volti, come quello di Alima: “Alima è una bambina di due anni che, dopo 48 ore trascorse in mezzo al mare, a bordo della Mare Jonio, dopo essere stata pulita e sfamata, aveva un sorriso bellissimo”.
“Un sorriso – così le parole di Metz – che cambierà il mondo. Il sorriso che rappresentava la voglia di vivere. Aver incontrato Alima è la fortuna più grande che abbia mai avuto nella mia vita, perché è la dimostrazione di come ancora una volta si può fare”.
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