Politica
2 Marzo 2025
Intervento dalla portavoce delle donne democratiche di Ferrara: "Abbandonare l’idea che le battaglie per il lavoro femminile siano disgiunte dalle battaglie per il lavoro più giusto per tutti"

Baraldi: “Per abbattere diseguaglianze di genere serve impegno istituzioni”

(Foto di Riccardo Giori)
di Redazione | 4 min

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Il Rendiconto di genere 2024 presentato dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS conferma storture del mercato del lavoro ben note, fratture e diseguaglianze che non diminuiscono nonostante gli obiettivi europei e allarmano per il loro evidente contrasto con i proclami del governo.

Il tasso di occupazione delle donne è del 52,2% – tra i più bassi d’Europa -, a fronte del 70,4% degli uomini, e di queste, il 64,4% lavora in part time (il 15,6% in part time involontario, che non è frutto di una libera scelta, ma l’unica opzione possibile); solo il 18% delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato contro il 22,6% degli uomini. Il dato più sconvolgente, perché sta lì a testimoniare la dimensione del gender gap, è ancora la differenza retributiva, che sfiora il 20% (con massimi del 32,1% nelle attività bancarie e assicurative e del 35,1% nelle professioni tecniche e scientifiche). È bene ricordare che il dato si riferisce allo stesso livello di carriera e a parità di ruolo e mansioni.

Dati inversamente proporzionali al numero di laureate che invece è del 62% nel 2023: una maggiore qualificazione negli studi non si traduce in una maggiore occupazione, ma nemmeno nella possibilità di ricoprire ruoli in linea con la preparazione, poiché solo il 21% tra i dirigenti e solo il 32% tra i quadri è donna.

Ancora più preoccupante il dato che attesta gli assegni di vecchiaia delle donne a -44% rispetto agli uomini. Non ci si può aspettare altro al termine di carriere intermittenti, precarie e mal retribuite. Il CIV INPS la definisce una “segregazione orizzontale e verticale”.

Sappiamo che le cause di questa evidente discriminazione sono molteplici e viaggiano su piani differenti, non ultimo quello culturale, che nel nostro paese fatica a liberare le donne dall’esclusività del lavoro di cura, cui negli ultimi anni si è sommato il peso sociale (e ora politico) della natalità per uscire dall’inverno demografico che ci affligge.

C’è il piano dei servizi, strumento principale attraverso il quale le donne possono essere compiutamente libere di cercare e trovare il lavoro che desiderano e che si confà con le proprie aspettative e competenze. Purtroppo il numero di posti in asili nido, rispetto all’obiettivo europeo di 45 ogni 100 bambini, è ancora lontano per la stragrande maggioranza delle regioni d’Italia (escluse Emilia-Romagna, Valle D’Aosta e Umbria).

Le giornate di congedo parentale utilizzate nel 2023 dalle donne sono state 14,4 milioni a fronte di sole 2,1 milioni usate dagli uomini, il che suona perfetta come risposta a quegli uomini che dicono che il femminismo non ha più senso perché ormai la parità è raggiunta. Solo un congedo parentale paritario porterà gli uomini ad assumere la stessa responsabilità culturale e affettiva e quindi lo stesso carico di cura nella crescita dei figli.

Per abbattere la diseguaglianza tra uomini e donne occorre quindi affrontare simultaneamente tutte le dimensioni: il mercato del lavoro, i modelli organizzativi del lavoro stesso, l’ampiezza dei servizi, la dimensione culturale familiare.

È un impegno che deve essere anzitutto delle istituzioni e di chi agisce la pratica politica, e va fatto, da un lato, rafforzando gli strumenti che già conosciamo, per fare sì che l’uguaglianza sia sostanziale e non formale, e, dall’altro, abbandonando l’idea che le battaglie per il lavoro femminile siano disgiunte dalle battaglie per il lavoro più giusto per tutti.

Mentre nel mondo si discute della riduzione dell’orario del lavoro, in Italia cresce la polarizzazione tra chi lavora troppo (eccessi dell’iperconnessione) e chi lavora per poche ore alla settimana che non consentono una vita dignitosa e protetta: un lavoro povero e poco qualificato che va in direzione contraria di quanto occorrerebbe al nostro paese per rilanciare la produttività.

La proliferazione di tipologie contrattuali che sfuggono alla contrattazione collettiva e dilatano a dismisura la flessibilità, trasforma il lavoro in una sorta di baratto perenne tra sopravvivenza e dignità, condanna le persone ad una “immaturità lavorativa” e toglie ogni concretezza all’idea di poter costruire una famiglia, costringendo le donne a scegliere tra lavoro e maternità, tra stare sempre un passo indietro o realizzarsi liberamente.

In primavera saremo chiamati a votare per 5 referendum, 4 dei quali per abrogare norme che oggi disciplinano il lavoro rendendolo precario e insicuro, contribuendo ad allargare la distanza tra lavoro maschile e lavoro femminile.

Decidere di votare SI per un lavoro stabile, tutelato e dignitoso significherà cambiare concretamente la condizione di milioni di persone a partire proprio da quelle più discriminate, le donne.

*Portavoce donne democratiche di Ferrara

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