di Emanuele Gessi
Sala piena e grande attenzione per l’ultimo libro dello psicoanalista junghiano Claudio Widmann che, durante la presentazione organizzata da Confcooperative Ferrara alla libreria Libraccio, ha parlato de L’individuazione – Principio, processo, fine (Mimesis, 2024), approfondendo, fra l’altro, il rapporto che lega individuo e collettività nella nostra società e in quelle della storia.
A dialogare con l’autore sono stati Chiara Bertolasi, vice presidente di Confcooperative, e il direttore Ruggero Villani, che nella sua introduzione ha sottolineato il senso e l’importanza di riflettere sulle categorie che caratterizzano la contemporaneità: “Per noi che organizziamo questo ciclo di conversazioni aperto alla cittadinanza, riteniamo che indagare la dimensione dell’individualità sia imprescindibile per riuscire a collocarla in un contesto più ampio, in una direzione operativa che tenda alla cooperazione e al bene comune”.
Tra le dissertazioni con cui ha catturato l’interesse del pubblico, Widmann ha suggerito, con una riflessione di matrice junghiana, che nei confronti del collettivo si contrae un debito non appena il proprio processo di individuazione ha inizio: “Individuarsi significa depauperare il collettivo. In questo senso abbiamo il dovere etico di risarcirlo, restituendogli quel valore aggiunto che soggettivamente possiamo aver ottenuto”.
La vasta portata dei temi affrontati nell’opera ha permesso di prendere in considerazione anche un argomento di stretta attualità, quello del fine vita. “Se un giorno perdiamo tutte le nostre capacità neurologiche e psico-fisiologiche, siamo così sicuri che non abbia ancora un senso essere noi stessi? Io non ho una risposta al riguardo, ma è una questione importante da approfondire. Specialmente se considerata alla luce di un ulteriore interrogativo. Oggi c’è spazio per l’individuazione per chi è escluso dal mondo dell’efficienza?”.
Fare luce sulle origini del processo di individuazione ha permesso infine allo psicoanalista di esternare una visione schietta e inaspettata sul ruolo svolto da Jung: “Tendo a essere poco agiografico, per questo direi che Jung è una sorta di abusivo dell’individuazione. Questo concetto, infatti, non nasce grazie a lui, ma ad opera di uno di quegli autori che nei testi di filosofia di solito sono scritti in piccolo: Duns Scoto, un filosofo del 1200. Egli si pose il problema di riuscire a distinguere gli angeli, nonostante potessero apparire come esseri ugualmente perfetti. La risposta che diede alla questione fu che questa operazione era possibile. E ciò che lo consentiva era la sostanza singolare presente in ognuno di noi, che ci distingue da chiunque altro e che risiede sotto alla mera materia. Questo passaggio logico rappresenta la genesi del principio d’individuazione di cui abbiamo discusso oggi”.
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