Alla scoperta di Ponte e del Po con Officina A_ctuar
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di Federica Pezzoli
Tre irresistibili interpreti per una serata di teatro godibile e ben fatto, all’insegna di quell’ironia intelligente e acuta che riesce a far sorridere dei difetti e delle ipocrisie che ritroviamo nella società e in ciascuno di noi. È “Boston marriage”, di David Mamet, in scena al Teatro Comunale “Claudio Abbado” di Ferrara fino a domenica 16 febbraio, con Maria Paiato, Mariangela Granelli e Ludovica d’Auria, guidate dalla regia di Giorgio Sangati.
Mamet, premio Pulitzer nel 1984 e con diversi testi non solo teatrali e due candidature all’Oscar all’attivo, per scrivere questo testo nel 1999 parte dalla suggestione dell’espressione ‘Boston Marriage’: in uso nel New England a cavallo tra il XIX e il XX secolo, alludeva a una convivenza tra donne economicamente indipendenti da uomini ed eventualmente anche legate sentimentalmente fra loro. Ed ecco il primo paradosso: in realtà qui il sostegno di un uomo c’è, ma il genere maschile, anche se più volte tirato in ballo e mai in maniera lusinghiera, non compare mai, quasi fosse il Godot di questa pièce.
La scena accogliente e raffinata, ideata da Alberto Nonnato, ci conduce in un salotto d’epoca, tutto velluti, dove dominano il rosso e il rosa; il tutto però è volutamente ed esplicitamente allestito come in un set da sit-com e a rinforzare la sensazione della finzione contribuiscono riflettori a vista e una scritta “On Air” che si accende e spegne in alto.
Al centro dell’atto unico, infatti, ci sono quelle piccole finzioni che salvano l’apparenza e creano quella rete di salvezza all’interno della quale sono possibili stili di vita altrimenti fuori dalla norma socialmente accettata, nell’America di fine ottocento come al giorno d’oggi. Una rete i cui nodi sono le parole: qui è necessario rendere omaggio alla traduzione di Masolino D’Amico, capace di rendere facilmente comprensibili al pubblico le variazioni di registro – basso e alto, farsa e dramma – i giochi di parole e quella lieve, ma affilatissima, punta di ironia e critica sociale alla Oscar Wilde che Mamet si è divertito a inserire in questo lavoro. Basta citare solo un paio di battute: “Ma che malvagia vecchia stronza!”, “Non sono vecchia!”; o ancora “Nella bocca bisogna avere una lingua civile… Non necessariamente la propria”.
Maria Paiato e Mariangela Granelli sono Anna e Claire, le due signore in passato protagoniste della convivenza che dà il titolo all’opera: la prima, un po’ più agè, in desabillé elegante, ora è mantenuta da un amante, sfoggia una collana di smeraldi in realtà sottratta di nascosto dal fedifrago alla consorte; la seconda è tornata in cerca di complicità e ospitalità per poter amoreggiare con la nuova giovane fiamma, che si rivelerà essere la figlia del padrone di casa.
E nell’altalenante dialogo che si costruisce fra le due, fra aspettative tradite, piccole ripicche e a tratti qualche non-sense, si inserisce la cameriera scozzese Katherine, con la sua stralunata saggezza popolare.
La trama è tutta qui, a fare il resto ci pensa il cast. In primis un’istrionica Maria Paiato che conferma la sua versatilità nell’interpretare diversi ruoli, tragici e comici, ma anche nel dare ad Anna un tratto irresistibile, tutta ripiena di cliché da tragédienne, intelligente e cinica, ma anche innamorata e disposta a rinunciare a ciò che ha e che è per quell’amore. Mariangela Granelli è in grado di sostenere il palco con la coprotagonista e allo stesso tempo di offrirsi quale spalla d’eccezione: delinea una Claire concreta e disillusa, forse più volitiva, ma più insicura di Anna, tanto da cadere nel tranello di una passione per una ragazza, che incarna quella giovinezza che le sta sfuggendo. Bella prova – non facile accanto a due interpreti del calibro di Paiato e Granelli – anche di Ludovica D’Auria nei panni della cameriera, personaggio che l’indubbio valore aggiunto del testo di Mamet. Palpabile l’alchimia e la complicità in questo azzeccatissimo quanto surreale triangolo di donne.
“Boston Marriage” provoca sì risate, ma mettendo a nudo debolezze, gaffes e ipocrisie di ognuno, che le simpaticissime donne delineate da Mamet – che per una volta bastano a sé stesse – ci aiutano a ridimensionare ridendone.
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