L’ennesimo episodio di bullismo scolastico a Ferrara, dove mercoledì (12 febbraio) una ragazza è stata aggredita davanti all’ingresso di una scuola superiore cittadina, fa accendere i riflettori su un disagio giovanile che non colpisce solo gli adolescenti ferraresi, ma che ormai è generalizzato. Un tema su cui si è soffermato lo psicologo scolastico Giovanni Meloncelli, libero professionista associato al Centro Psico-Educativo La Girandola che – in un’intervista a Estense.com – fornisce la propria chiave di lettura alla vicenda.
Dottore, come commenta quanto accaduto?
“Purtroppo sono notizie in linea con quanto succede ogni giorno in Italia. Non è una questione di Ferrara o della scuola. La violenza è sempre da condannare, è vero. Ma qui c’è un disagio generalizzato, una richiesta di aiuto da parte dei giovani che noi adulti dobbiamo essere bravi a interpretare per intervenire”.
Insieme all’articolo, con tutte le cautele del caso, avevamo pubblicato anche il video dell’aggressione. Poi, dopo alcuni confronti con esperti della scuola e del cyberbullismo, la scelta della redazione è stata quella di toglierlo. Pensa che la diffusione di queste notizie sia giusta?
“Per fortuna c’era quel video, che ci ha permesso di aprire gli occhi su una situazione di disagio che sennò sarebbe stata latente. E chissà quando e come sarebbe venuta fuori. Dare queste notizie è importante, lo dicono anche altri professionisti ben più qualificati di me. Bisogna parlare, bisogna raccontare, bisogna far vedere quanto succede per tenere sempre accesa l’attenzione sul fenomeno. Dobbiamo sapere quello che succede. Quel video è un video di denuncia del malessere che sta invadendo i nostri ragazzi. Va fatto vedere affinché i giovani possano ragionare e mettersi nei panni della vittima ma anche del bullo. Diventa fondamentale usare empatia e capire perché ha agito con quella violenza e quali difficoltà sta vivendo”.
A differenza di quanto successo qualche settimana fa a parco Pareschi, qui gli amici non hanno spronato le due a lottare ma le hanno separate.
“Vanno premiati, così si fa. Così bisogna fare. Non c’è da girarsi dall’altra parte, ma da intervenire come prevede l’etica dell’aiuto”.
Si parla spesso delle cattive influenze del mondo social sui ragazzi. È questo il caso?
“Direi di no. I ragazzi sanno difendersi dai cattivi del mondo dei social network. Sanno ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Non c’è emulazione. C’è però un disagio, come dicevo prima, che si manifesta. E bisogna intervenire”.
Un ruolo fondamentale lo ricoprono le famiglie.
“La fortuna è che le ragazze hanno dichiarato il loro malessere pubblicamente. La famiglia della ragazza aggredita fa bene a fare denuncia, ma farebbe bene anche a farsi supportare e aiutare. Lo stesso vale per quella della giovane che l’ha picchiata. Serve un intervento psicologico sia sulle ragazze e un supporto alla genitorialità. Se siamo arrivati a questo punto, forse, è perché nemmeno i genitori se ne sono accorti del disagio che stavano attraversando i loro figli”.
C’è un rischio di giustizia privata?
“Sì, c’è il rischio che gli amici delle due ragazze si facciano giustizia da soli. Qui però entra in gioco la scuola, che può e deve intervenire, anche se è successo fuori dall’istituto. Sennò dov’è la comunità educativa?”.
Come psicologo scolastico come affronterebbe la questione?
“Con il centro La Girandola collaboriamo con le scuole e quando prendiamo in carico un alunno coinvolgiamo automaticamente sia la famiglia che con l’istituto. Parliamo con gli insegnanti, ci facciamo suggerire e coinvolgiamo anche i genitori perché non siamo d’accordo con chi dice che le famiglie devono stare fuori dalla scuola. Certo, non devono sostituirla, ma devono collaborare. Gli attori sono tanti. Ovvio che noi abbiamo qualche esperienza e conoscenza in più, che però deve essere mescolata e impastata con le famiglie perché la teoria da sola non serve a nulla”.
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