Aveva deciso di rivolgersi ai carabinieri di Loiano, in provincia di Bologna, al fine di denunciare l’ex marito per maltrattamenti. E, proprio in quel frangente, aveva rivelato di essere stata sfruttata come prostituta tra le province di Bologna e Ferrara. I militari del 112 avvisarono così gli uffici di corso Ercole I d’Este che, a seguito della segnalazione ricevuta, affidarono le indagini agli uomini della Squadra Mobile che, tra analisi della banca dati e ascolto della donna, ottennero i primi riscontri fino all’individuazione di chi, quel giro losco, lo avrebbe gestito.
I fatti risalgono all’ottobre 2015 e ieri (mercoledì 5 febbraio) mattina, a distanza di quasi dieci anni, è stato l’ispettore Gianluca Tieghi della Polizia di Stato – oggi in pensione – a raccontare lo svolgimento dell’inchiesta.
Un’inchiesta in cui – suo malgrado – la protagonista è una donna di nazionalità uruguaiana che – secondo la Procura di Ferrara – sarebbe stata vittima di altre due donne, connazionali di 47 e 50 anni, oggi a processo con l’accusa di sfruttamento della prostituzione perché l’avrebbero costretta, dietro minaccia, a vendere il proprio corpo per poter guadagnare e poi pagare a loro i 40mila euro necessari a ottenere nuovamente la libertà che le era stata strappata qualche anno prima.
La presunta vittima della vicenda era arrivata in Italia, dove le avevano promesso un impiego come cameriera, grazie all’aiuto di un’amica che le aveva fatto da tramite. Ad attenderla, all’aeroporto milanese di Malpensa, c’erano tre persone.
Due donne, le odierne imputate, e un uomo, che da Milano l’avevano portata a Ferrara, dove le avevano dato vitto e alloggio in una casa. Ben presto, però, le speranze di poter iniziare una nuova vita finirono e la donna venne catapultata improvvisamente in un incubo: le fu preso il passaporto e le fu imposto di prostituirsi lungo le strade della città, lungo via Bologna.
L’obiettivo – come lei stessa aveva raccontato nell’udienza dello scorso 2 ottobre – era quello di guadagnare 40mila euro, somma decisa dalle due aguzzine per poter uscire da quella situazione, senza che nessuno si fosse fatto male.
“Mi sono sentita impaurita e minacciata” aveva riferito, davanti al collegio del tribunale, soprattutto “per il tono con cui mi parlavano che non era proprio amichevole” aveva aggiunto.
“Fai la brava che là (in Uruguay, ndr) hai la famiglia e anche io ce l’ho” le avrebbe detto una delle attuali imputate che – secondo la presunta vittima – apparterrebbe a una famiglia nota, in Sud America, per essere vicina agli ambienti della malavita.
A Ferrara ci restò venti giorni, poi fu trasferita a Bologna, dove continuò a prostituirsi per un anno, consegnando alle ‘madame’ circa 250 euro ogni sera. Lì, grazie alla solidarietà di alcuni clienti, riuscì a recuperare i soldi che le servirono e finalmente fu liberata.
A distanza di quattro anni però, nel 2019, alle prese con una situazione familiare di gravissimo disagio economico, decise di contattare nuovamente le sue due aguzzine, a cui chiese di poter tornare nuovamente sulla strada. Lo fece per una settimana, lungo la via Emilia, poi non le vide più.
La vicenda in sé sarebbe finita qui. Nessuna denuncia, nessuna richiesta di aiuto, nemmeno quando, arrivata a Bologna, venne accompagnata in Questura per la richiesta di asilo.
Se oggi infatti, in tribunale a Ferrara, si sta celebrando questo processo, lo si deve solamente a quella vicenda per maltrattamenti che lei denunciò, accusando l’ex marito, finito poi alla sbarra in un altro procedimento aperto a Bologna. Sia lei che lui, sentiti dai carabinieri, rivelarono questo aspetto appartenente dal passato della donna. Fu il là alle indagini degli uomini della Squadra Mobile della Polizia di Stato di Ferrara che portarono a individuare le presunte responsabili dei fatti nelle due donne, oggi finite alla sbarra.
Si torna in aula il 2 aprile per la discussione.
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