di Camilla Mondini
Vagabondi, etilisti, disabili, malati di mente, lesbiche, prostitute e zingari. Venivano ritenuti “asociali” e contrassegnati da un triangolo nero prima di essere rinchiusi nei lager nazisti. Alcune delle loro storie, e preziose testimonianze, sono impresse su carta ed esposte nella sede di Arcigay dove sabato 1 febbraio una piccola folla si è riunita per leggerle. Altre, forse troppe, non hanno lasciato traccia e sono state dimenticate.
La prima testimonianza sull’assegnazione del Triangolo Nero alle donne lesbiche è contenuta nelle memorie autobiografiche pubblicate nel libro ‘Soursis pour l’orchestre’ (1976) di Fania Fénelon, testimone della deportazione e membro dell’orchestra femminile di Auschwitz. Ed è proprio sulla memoria storica di queste poche ma significanti storie che si concentra la mostra “Mein liebes, storie di donne lesbiche e transgender internate nei campi di concentramento e sterminio nella germania nazista”.
“Ho assistito alla genesi di questa preziosa e approfondita ricerca storica partita circa un anno fa dalla mente di una storica ferrarese, Delfina Tromboni – afferma la garante dei diritti dei carcerati Manuela Macario – e ha come oggetto la storia dimenticata di donne lesbiche e transgender durante la Germania nazista, deportate nei campi di concentramento perché non conformi alle norme sociali dell’epoca”. Poi Macario apre una parentesi sui luoghi di detenzione al giorno d’oggi: “Dovremmo vivere una condizione molto differente perché i luoghi di detenzione dovrebbero tendere anche alla rieducazione, ma sappiamo che in molti non è così. È importante non generalizzare, esistono anche carceri in cui si affrontano percorsi volti alla rieducazione, ma la memoria storica serve anche a ricordare, ovviamente senza voler fare paragoni – precisa – di non trasformare i detenuti in internati”.
L’omosessualità femminile, a differenza di quella maschile, venne ignorata dal paragrafo 175 del Codice Penale Tedesco perché le donne erano considerate un elemento di secondo piano nella società e, si legge nell’articolo, che: “le donne che indulgono in relazioni sessuali innaturali non sono impedite del tutto come agenti procreativi diversamente dagli omosessuali uomini, spesso l’esperienza mostra che le donne tornino a relazioni normali”. Il fatidico ritorno a relazioni ‘normali’ veniva tuttavia molte volte forzato come racconta Giacomo Cantucci: “Molte di queste donne venivano costrette a prostituirsi nei bordelli come tentativo di rieducazione”.
Una delle storie ci tocca particolarmente da vicino, quella di Cerere Bagnolati, staffetta partigiana e combattente. Fu arrestata a Ferrara il 21 agosto 1944 dalle SS come oppositrice politica, portata nei sotterranei del Castello Estense, quindi nel carcere di S. Giovanni in Monte (Bologna) e infine deportata in Germania, prima a Ravensbrück poi a Flosengürg. È sopravvissuta ed è stata insignita della Croce al merito di guerra. Essendo identificata come oppositrice politica il suo triangolo era di colore rosso.
A spiegare più nel dettaglio il significato dei triangoli il direttore dell’Archivio di Stato di Ferrara Davide Guarnieri: “Veniva usato il principio del ‘dividi et impera’ i colori dei triangoli e la differenziazioni degli internati serviva a esercitare su di essi un maggiore controllo, in questo modo si generarono dei conflitti tra gli stessi deportati che non vedevano di buon grado chi aveva un colore diverso dal loro. La rivolta di migliaia e migliaia di internati sarebbe stata molto difficile da sedare, il modo più semplice per controllarli era appunti dividerli”.
Nell’Archivio di Stato queste persone vennero inserite nel fascicolo 8, ovvero quelle delle persone considerate durante il ventennio “pericolose per l’ordinamento democratico dello Stato”. Quello di Cerere Bagnolati era un fascicolo particolare perché erano presenti due documenti in cui è chiaramente scritto che lei era “L’esbica” (scritto in modo sbagliato), quei documenti sono stati per 70 anni secretati perché la legge vieta anche ora la divulgazione, per il tempo stabilito di 70 anni, di dati considerati sensibili. Sono stati infatti solo recentemente resi pubblici.
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