di Elena Coatti
“Quello che sta succedendo in Israele è dovuto all’educazione delle ultime tre generazioni, dove la scuola ha avuto un ruolo molto pesante nel processo di deumanizzazione. Noi oggi raccogliamo i frutti avvelenati di quelle stagioni, nelle quali l’educazione è diventata una merce totalmente controllata. E questo vale anche per l’Italia”.
Senza mezzi termini la professoressa dell’Università di Bari, Francesca Recchia Luciani, pone il tema dell’educazione alla pace al centro del suo intervento al convegno “La banalità del male e le forme della memoria”, organizzato da Unife nell’ambito delle celebrazioni a ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz. Un mercoledì di riflessioni, quello del 29 gennaio nell’aula magna di Giurisprudenza, proposte da professori e ricercatori sul ruolo degli intellettuali, delle immagini e sul concetto di memoria.
Il titolo del convegno non è casuale perché, come ha ricordato in apertura la referente e professoressa Unife Micaela Latini, quest’anno si commemora anche una delle filosofe più influenti del secolo scorso a cinquant’anni dalla sua morte, Hannah Arendt. Alla presenza del prefetto Massimo Marchesiello, è intervenuto anche il professore ed ex ministro all’Istruzione del governo Draghi, Patrizio Bianchi. “Non c’è educazione alla pace senza educazione ai diritti – ha affermato l’economista –. Riprendiamo in mano la Costituzione e facciamo in modo che nella Giornata della Memoria il ricordo non svanisca, ma diventi una via per la pace”.
Avere memoria di un evento tragico, come la Shoah, permette di comprendere il presente. Una frase che sentiamo spesso, ma la professoressa Recchia e il docente dell’Università di Ferrara Agostino Cera fanno un passo in più. A partire dagli scritti di Hannah Arendt, Günther Anders e Primo Levi, mettono in luce ulteriori aspetti collaterali alla “banalità del male”. Non è sufficiente, infatti, l’educazione in quanto tale, “sebbene sia fondamentale”, sottolinea Recchia. Come già accennato, questa potrebbe essere facilmente controllata e manipolata in modo tale da produrre nuove immagini non fedeli alla verità.
Secondo Anders, come ha riportato la docente dell’Università di Bari, anche il tema della vergogna è centrale: vergogna per il male commesso da noi stessi e anche per quello che commettono gli altri. Percepire vergogna è qualcosa di fondamentale per essere umani, ma questa potrebbe venire meno quando manca un’educazione o quando è “perversa”. Sempre il filosofo tedesco ritiene che la soluzione sia lo “sviluppo della fantasia morale”, perché abbiamo bisogno di un grande apporto di immaginazione per comprendere il dolore altrui. E allora Recchia sostiene che “essere umani è stare nel presente con la capacità di tenere insieme comprensione, empatia e immaginazione, che sono le parole d’ordine che ci hanno lasciato straordinari testimoni come Arendt, Anders e Levi”.
Ma l’epoca attuale è “durissima – ha aggiunto -. Siamo bendati ed è pericoloso esprimersi”. Le notizie dagli Stati Uniti preoccupano qualcuno del pubblico e il professor Cera risponde che “Trump è lo specchio impietoso del disastro del sistema educativo americano”. E ha continuato affermando che “il dovere dell’intellettuale è quello di non acquietarsi sui dati, ma di entrare nel conflitto e comprenderlo”.
“Dobbiamo mordere il presente – ha affermato Recchia – ed è difficilissimo poiché mancano le chiavi interpretative, e questo lo vediamo dai giornali. Il compito degli intellettuali è quello di stare nel presente e non fingere di non vederlo”. Citando Jünger, Cera ha concluso: “La mobilitazione intellettuale o è totale, o non è”.
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