Cronaca
16 Gennaio 2025
In aula parla uno degli operai 'reclutati' per svolgere le operazioni di bonifica dal focolaio di aviaria che aveva colpito lo stabilimento Eurovo di Codigoro: "Il dottore che mi visitò prima di iniziare a lavorare mi disse di stare attento ma non mi parlò dell'epidemia"

Caporalato. “Non avevo altra scelta perché avevo bisogno di lavorare”

di Davide Soattin | 3 min

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“Ho pensato che ci fosse pericolo, ma non avevo altra scelta. Avevo bisogno di lavorare“. È la testimonianza rilasciata ieri (mercoledì 15 gennaio) mattina, in tribunale a Ferrara, da uno degli operai impegnati a svolgere le operazioni di bonifica del focolaio di aviaria che scoppiò il 5 ottobre 2018 nello stabilimento Eurovo di Codigoro, dove gli inquirenti, coordinati dal pm Andrea Maggioni, avrebbero scoperto un presunto vasto sfruttamento di manodopera di lavoratori di nazionalità straniera.

Prima di iniziare a lavorare all’interno del capannone, su volontà della cooperativa da cui era stato ingaggiato, l’uomo ha ricordato di essersi sottoposto – “insieme ad altri colleghi” – a una visita medica a Verona. “Ci hanno visitato – ha proseguito – ma non ci è stato rilasciato alcun certificato. Il dottore mi disse di stare attento, di mettere la mascherina e di usare una tuta per lavorare, ma non mi ha mai parlato di epidemia. Non sapevo ci fosse quel problema, fino a quando non ho iniziato”.

Così, prima di entrare nello stabilimento, il testimone ha riferito che indossava “tuta, scarpe e mascherine, tutte fornite dalla cooperativa. Tuta e scarpe ce le dettero solamente la prima volta, mentre la mascherina la cambiavamo ogni giorno” ha specificato. “Quando entrammo c’erano ancora molte galline morte. Dovevamo caricarle e poi pulire gli escrementi” ha aggiunto, rispondendo circa le mansioni che avrebbero dovuto svolgere gli operai che erano stati ‘reclutati’ per le operazioni di bonifica.

Un lavoro – ha ricordato – pagato “7 euro all’ora” senza distinzione di tariffa tra i turni di giorno e quelli di notte. Quanto alla pausa pranzo, “non c’era un posto vero e proprio dove mangiare. Mangiavamo lì vicino, all’aperto, all’esterno dello stabilimento” ha infine riferito.

L’inchiesta prese le mosse dall’incidente avvenuto lungo l’autostrada A13, nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2017, quando un furgone su cui viaggiavano dodici cittadini di nazionalità straniera, di ritorno dall’impianto Eurovo di Codigoro, si ribaltò. Nello schianto perse la vita il 62enne marocchino Lahmar El Hassan, autista del veicolo, residente in provincia di Verona. Da lì, l’avvio delle indagini della Procura di Ferrara fino alla scoperta di un presunto caso di caporalato nel Basso Ferrarese.

Per i fatti che vengono contestati dagli uffici di via Mentessi sono oggi a processo i legali rappresentanti della forlivense Cooperativa Agricola del Bidente (Elisabetta Zani, 55enne, presidente, il suo vice Gimmi Ravaglia, forlivese di 47 anni, e Ido Bezzi, 67 anni, dipendente della cooperativa) e poi Abderrahim El Absy della Coop Work Alliance di Cesena, Ahmed El Alami della Coop Agritalia di Verona e Lahcen Fanane della Coop Veneto Service di San Bonifacio, in provincia di Verona.

Nello specifico, Zani e Ravaglia (Coop del Bidente) dovranno rispondere anche del reato previsto per aver subappaltato la bonifica di Eurovo alle Coop Agritalia, Veneto Service e Work Alliance, senza alcuna autorizzazione da parte dell’Ausl. La cooperativa forlivese, infatti, avrebbe ottenuto un appalto da cinque milioni, ma allo stesso tempo avrebbe poi concesso in subappalto ad altre tre società i lavori di abbattimento dei capi di pollame, di pulizia e disinfezione, in maniera – secondo gli inquirenti – indebita e senza l’autorizzazione dell’Ausl.

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