Poco meno di due anni. È quanto ha scelto di patteggiare Francesca Ferretti, figlia della dottoressa Marcella Gennari, finita – insieme alla madre e alla dottoressa Chiara Compagno – a processo con le accuse – a vario titolo – di falso, truffa ai danni dello Stato, corruzione e peculato, a seguito della vicenda relativa alle false vaccinazioni contro il Covid-19 per ottenere il green pass, portata alla luce dall’inchiesta Red Pass, eseguita dagli uomini della Guardia di Finanza dietro il coordinamento della Procura di Ferrara.
La decisione è arrivata durante l’udienza preliminare di lunedì 13 gennaio, quando il gup Silvia Marini ha inflitto – con pena sospesa – un anno, undici mesi e venticinque giorni di condanna alla donna, che è difesa dall’avvocato Alessandro Valenti.
Diversamente, dopo aver respinto l’istanza di patteggiamento a due anni presentata dalla difesa della dottoressa Chiara Compagno, a causa della reiterazione del reato che le viene contestato, la Procura – pm titolare del fascicolo di indagine è Ciro Alberto Savino – ha chiesto il rinvio a giudizio sia per lei che per la collega Gennari. Una richiesta a cui si è accodata anche l’Ausl di Ferrara che, per tramite del proprio legale, l’avvocato Sabrina Di Giampietro, durante le precedenti udienze, si costituita parte civile nel procedimento.
Le difese delle due dottoresse (avvocati Marco Linguerri e Carlo Taormina per Compagno, avvocato Alessandro Valenti per Gennari) discuteranno la loro posizione nella giornata di mercoledì 22 gennaio, quando il processo tornerà nuovamente in aula.
Quattro – si diceva – le accuse mosse a vario titolo nei confronti delle tre imputate: falso, truffa ai danni dello Stato, corruzione e peculato.
Il reato di peculato, secondo la Procura di Ferrara, sarebbe stato commesso quando le tre donne, una volta in possesso del vaccino fornito dall’Usl, lo avrebbero buttato via invece di iniettarlo ai pazienti. Invece, per ciò che riguarda la corruzione, secondo il castello accusatorio, le dottoresse avrebbero intascato denaro dai pazienti (20 o 50 euro a seconda dei casi) per fingere l’inoculazione del vaccino e far loro ottenere un green pass a fronte dell’attestazione di una dose mai somministrata.
L’accusa di truffa ai danni dello Stato riguarda invece i rimborsi previsti dall’Azienda Usl per i medici di base che eseguivano le vaccinazioni anti-Covid che, quindi, sarebbero stati percepiti indebitamente dalle dottoresse avendo loro attestato in maniera falsa di aver vaccinato i loro pazienti. Infine, il reato di falso si rifà al fatto che le professioniste avrebbero dichiarato inoculazioni, falsi tamponi o esenzioni fasulle, tutte attestazioni per poter riuscire ad emettere il green pass.
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