Pare ridimensionarsi, almeno secondo la difesa, l’inchiesta per traffico illecito di rifiuti che vede coinvolta un’azienda del basso ferrarese, attiva nel commercio all’ingrosso di materiale di recupero e difesa dall’avvocato Simone Bianchi. Ieri (9 gennaio) è stata ascoltata, come consulente di parte, Lucia Corraducci, esperta in materia ambientale che aveva anche già avuto incarichi dall’azienda in esame.
Una consulenza di parte che avrebbe fatto notare come il volume di affari dei conferimenti di rifiuti contestati dalla Dda di Bologna non sia pari al 70% ma al 6% del fatturato aziendale. Inoltre le fatture intestate a persone decedute sarebbero solamente 19 su oltre 10mila documenti analizzati mentre i privati che conferivano sarebbero stati legittimati a farlo in virtù di un documento rilasciata dalla Provincia nel 2012.
Si tratta di dati che, se confermati, ridimensionerebbero le accuse promosse dal procuratore Flavio Lazzarini secondo cui, le imputate (la proprietaria e una dipendente dell’azienda), per aumentare i ricavi e al contempo ridurre i costi, dal 2016 al marzo 2020, avrebbero organizzato una gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi (in particolare rifiuti metallici ferrosi e non ferrosi).
La ditta, stando alla ricostruzione degli inquirenti, riceveva nel suo impianto di raccolta veicoli fuori uso e metalli di vario tipo conferiti da parte di privati in modo abusivo in quanto la licenza aziendale avrebbe previsto il conferimento solo da parte di aziende commerciali, artigianali e industriali. Come scritto, la difesa sostiene invece che fossero autorizzati e ha prodotto un documento del 2012 della Provincia di Ferrara nel quale verrebbe attestata l’autorizzazione.
L’importo contestato dall’accusa è di 1,8 milioni di euro, corrisposti in cambio di 5,5 tonnellate di materiale ferroso e non, che sarebbero stati erogati (tutti in contanti) a chi ha conferito i materiali. Importo che sarebbe stato giustificato attraverso dichiarazioni di acquisto in cui venivano indicati conferitori fittizi e, in alcuni casi, deceduti e in altri all’insaputa degli stessi. Un modo per far risultare piccoli quantitativi di materiale che avrebbero potuto non dare nell’occhio. I primi sospetti nacquero a causa delle firme di persone decedute ma, come detto, la difesa ha fatto notare che si tratterebbe di soli 19 casi.
Ultimo punto su cui si concentra la difesa per smontare l’impianto accusatorio della Dda di Bolonga riguarda l’analisi dei dati raccolti solamente attraverso il Mud (Modello unico ambientale) con cui non si è in grado di distinguere chi ha ceduto (presenti nel documento) da chi ha conferito (non presenti nel documento). Se invece si fossero controllati anche i documenti di carico e scarico si sarebbe potuto dipingere un quadro più completo.
Secondo la difesa non ci sarebbe dunque nulla di illegale, al massimo qualche irregolarità amministrativa.
Prossima udienza l’8 maggio.
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