Attualità
2 Dicembre 2024
Accolti i ricorsi di Legambiente, Lipu, Wwf Italia e Greenpeace Italia oltre a quelli del Parco del Delta del Po, della Provincia di Rovigo e alcuni comuni del polesine. Avevano avuto anche il sostegno di Emilia Romagna e Veneto

Il Tar stoppa le trivellazioni nell’Adriatico

di Redazione | 3 min

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Stop al progetto “Teodorico”, stop alle trivellazioni nel mare Adriatico davanti al Delta del Po. Il Tar del Lazio ha accolto i ricorsi di diverse associazioni ambientaliste e di istituzioni locali annullando i permessi rilasciati nel 2021 dal Ministero della Transizione Ecologica e quello della Cultura. Questi avevano “espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto di messa in produzione del giacimento convenzionalmente denominato “Teodorico” nell’ambito della Concessione di coltivazione ‘d40 A.C. – PY’ presentato da Po Valley Operations pty Ltd”.

Due sono stati i ricorsi presentati, uno dalle associazioni ambientaliste Legambiente, Lipu, Wwf Italia e Greenpeace Italia, seguite dall’avvocato Matteo Ceruti, e uno dal Parco del Delta del Po, dalla Provincia di Rovigo e da diversi comuni del polesine, affiancati dall’avvocato Bruno Barel. Con questi due ricorsi, basati su sette contestazioni, veniva chiesto l’annullamento dei permessi che, come scrive anche il Fatto Quotidiano, “avevano anche valenza di autorizzazione integrata ambientale”.

A firmare il provvedimento la presidente della seconda sezione del Tar Donatella Scala e dalla giudice estensore Maria Rosaria Oliva mentre sono intervenute a sostegno dei ricorrenti anche la Regione Emilia Romagna e la Regione Veneto.

“Le Amministrazioni ricorrenti – si legge nel provvedimento del Tar – hanno dedotto che lo sfruttamento del giacimento di gas comporterebbe l’aggravarsi del già esistente fenomeno della subsidenza ed hanno formulato sette motivi di ricorso, lamentando vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere”. Sempre i ricorrenti avevano sostenuto che si sarebbero dovuti valutare “gli interessi in conflitto, coordinandosi con l’istituzione del sito marino (comunicata a dicembre 2020 alla Commissione Europea), di cui peraltro era stata data notizia già nel corso del procedimento, poiché era stata consentita una trivellazione a meno di un chilometro dai confini di quella stessa area, posta tra le 6 e le 12 miglia marine di distanza dalla costa”.

I ricorrenti lamentava poi la possibilità di “un giacimento posto nell’area marina protetta collocata all’interno delle dodici miglia nautiche dalla costa” che andrebbe contro la direttiva “Habitat” dell’Unione Europea. “Va osservato – scrivono i giudici – che il provvedimento impugnato ha consentito una trivellazione a meno di un chilometro dai confini di un’area del Delta del Po, posta tra le 6 e le 12 miglia marine di distanza dalla costa e qualificabile come sito marino di interesse comunitario”. Il sito individuato, al momento della richiesta, viene ricordato nel provvedimento, ancora non rientrava tra quelli di interesse comunitario ma era già tra quelli proposti e il ministero avrebbe dovuto tenerne conto.

“Tutte le Amministrazioni ricorrenti – fanno notare i giudici – hanno lamentato che dall’esecuzione del provvedimento impugnato deriverebbe un aggravamento del fenomeno della subsidenza, potenzialmente incidente su tutti i loro territori”. Una deduzione che ritengono ragionevole “poiché sulla base di dati scientifici di comune esperienza, peraltro neppure contestati dalle amministrazioni statali, si può affermare che l’estrazione del gas dal sottosuolo o dall’area marina comporta il progressivo abbassamento del suolo della terraferma, per un’area molto estesa, che sulla base delle attuali conoscenze scientifiche non è in dettaglio individuabile”.

A questi due motivi principali i ricorrenti avevano aggiungono gli impatti che si potrebbero avere sulla fauna marina “in termini di disturbo e stress che comporterebbero il loro allontanamento, dal momento che le indagini istruttorie sarebbero carenti e risalenti nel tempo”. Mancherebbe poi un’adeguata “valutazione dei rischi nel tempo, connessi ad incidenti riguardanti le condotte sottomarine, in uno con quelli connessi ad incidenti sulla piattaforma o in fase di perforazione dei pozzi o di coltivazione del giacimento”. Infine avevano contestato la mancata “valutazione degli effetti dello sfruttamento del giacimento nella interazione terra-mare”

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