Politica
9 Novembre 2024
Cittadini del Mondo e La Comune di Ferrara danno la parola in sala Arengo a persone provenienti da Mali, Guinea Conakry, Senegal, Burkina Faso per raccontare le difficoltà che hanno nel lavoro e nella vita quotidiana a causa dei ritardi nei rinnovi dei documenti

“Senza permesso di soggiorno non si vive”. Le attese per averlo un ostacolo all’integrazione

di Pietro Perelli | 4 min

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“Senza permesso di soggiorno non si vive”. È il titolo dell’evento organizzato da Cittadini del Mondo e La Comune di Ferrara (rappresentata anche dalla consigliera comunale Anna Zonari) ma è anche quello che molti dei testimoni maliani, senegalesi, del Burkina Faso o della Guinea Conakry hanno sottolineato venerdì pomeriggio in sala Arengo raccontando gli ostacoli che vivono ogni giorno nel tentativo di integrarsi. Vogliono lavorare, andare a scuola e fare la patente ma senza il permesso di soggiorno non possono e non possono neanche affittare un appartamento o rinnovare la tessera sanitaria.

Non si tratta di persone che non hanno ma avuto un permesso ma che ne hanno uno, sia esso per motivi umanitari (due anni) o politici (5 anni), e che nel rinnovarlo vanno incontro a lunghi ritardi. I tempi di rilascio arrivano anche ai 5-8 mesi, a volte di più, causando enormi disagi. “Sono in Italia da dieci anni – dice Mahmoud Koita dell’associazione maliana -, alcuni amici africani mi prendono in giro perché sono più italiano che maliano ormai”. Mahmoud ha studiato, e da quando è a Ferrara lavora, è arrivato ad avere un contratto a tempo indeterminato e l’ultima volta che ha rinnovato il permesso ha aspettato nove mesi per averlo.

Non è un problema di secondo piano, quando scade il vecchio e rimane in mano una ricevuta con la quale non puoi rinnovare la tessera sanitaria e neanche tornare a casa a trovare i genitori nel paese di origine o andare a fare una vacanza in Francia dove si potrebbero incontrare parenti e amici. Sono alcuni degli esempi che portano mentre Iassine Ballo ricorda: “Siamo persone, non una minaccia per la Repubblica Italiana”.

Chiedono che si applichi la legge come è chiesto a loro di rispettarla e che il governo non “faccia politica sulla nostra pelle”, chiedono di rispettare l’articolo uno della Costituzione dandogli la possibilità di lavorare e pagare le tasse. Yolussa Tangara, che arriva da Bologna, ricorda che il “lavoro straniero incide sul Pil per 164 miliari di euro, l’8%, non stiamo facendo l’elemosina”. Anzi, in diversi sottolineano che pagano le tasse sostenendo il welfare italiano mentre rischiano di perdere il lavoro per i ritardi nel rilascio del permesso di soggiorno, pratiche che vengono svolte da un apposito ufficio della questura.

Un ragazzo del Burkina Faso racconta ciò che è successo a un amico che, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, è rimasto senza lavoro perché l’azienda per cui lavorava ha avuto un passaggio di proprietà ed era quindi necessario rinnovare i contratti. In quel momento però, essendo senza permesso di soggiorno perché in fase di rinnovo, ha avuto grossissime difficoltà a presentare i documenti all’azienda che non lo ha potuto rinnovare.

Amadou Diallo Thierno è invece in Italia dal 2016 e fino al 2019 si è dedicato allo studio mentre oggi ha un lavoro a tempo indeterminato in una importante azienda del territorio. Lui si concentra su altre difficoltà come le persone che non vogliono affittare agli stranieri, soprattutto se neri, un problema che si ripercuote anche negli uffici per il compimento delle pratiche burocratiche.

Mentre Malek Fatoum dell’associazioni Cittadini del Mondo e candidata alle scorse elezioni comunali con La Comune di Ferrara ricorda come le esperienze raccontate siano “solo una goccia nel mare”, Adam Atik della stessa associazione ma candidato per Coalizione Civica, ricorda lo studio sulla profilazione che hanno effettuato. Si tratta del Progetto Yaya, realizzato con il Coordinamento per Yaya, Occhioaimedia e l’Università Goldsmiths di Londra, con cui sono state raccolte una trentina di testimonianze arrivate fino alle Nazioni Unite e al rapporto dell’Ecri (la commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, un organismo del Consiglio d’Europa). “Quando l’ingiustizia diventa legge – conclude Atik – la resistenza diventa dovere”.

Sono “conseguenze della Legge 50/2023 (Decreto Cutro)” dicono da Cittadini del Mondo che porta lavoratori in regola “con un permesso di protezione speciale e incontrano enormi difficoltà a convertirlo in permesso per motivi di lavoro. Inoltre, proprio perché lavorano in regola, allo scadere del permesso vengono licenziati”. Un problema che si aggiunge a quello degli uffici della Questura che non riescono ad evadere le pratiche per il rinnovo in tempi consoni.

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