Mafia nigeriana. Ultimo atto in Cassazione
Si avvicina l'ultimo atto della vicenda processuale nata dalla maxi-inchiesta sulla mafia nigeriana a Ferrara
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“I bulloni c’erano tutti, così come le imbottiture. Se ci fossero state mancanze, ce ne saremmo accorti. Questo perché il collaudatore ha controllato tutto in maniera scrupolosa e puntigliosa con un lavoro di analisi attenta che ha portato via giorni. Forse, di ciò, bisogna chiederne conto alla Spal. Non si può venire a segnalare, dopo un anno che il bene è stato consegnato al proprietario, che mancano 15-20 bulloni e tutti ad altezze accessibili e in zone ben visibili, ma mi fermo qui“.
Parla in aula e si difende Giuseppe Tassi, ex amministratore unico di Tassi Group, finito alla sbarra con l’accusa di frode in pubbliche forniture, nel processo nato a seguito dell’inchiesta relativa alle presunte difformità strutturali dello stadio Paolo Mazza, riscontrate durante il cantiere per i lavori di ampliamento dell’impianto sportivo cittadino fino a 16mila posti, avviato con la salvezza e la permanenza della Spal in Serie A nel campionato di calcio 2018-2019.
Alla sua azienda, la Tassi Group di Cento, già sponsor di maglia dei biancazzurri nelle stagioni sportive 2017-2018 e 2018-2019, il club di via Copparo aveva affidato l’ammodernamento della struttura di corso Piave sulla base di una contrattazione che l’imputato definisce “puramente privatistica“. “Non c’è stata nessuna gara vinta, né tantomeno alcun interessamento del Comune” ricorda Tassi. “La Spal aveva fatto dei preventivi e avevamo l’accordo col dg Andrea Gazzoli che, in modo del tutto trasparente, a parità di prezzo con le altre società con cui eravamo in concorrenza, essendo noi già main sponsor (sponsorizzazione da 1 milione di euro circa, ndr), ci sarebbero stati assegnati i lavori nel caso in cui la squadra si fosse salvata alla fine del primo campionato di A”.
Così fu e, dopo alcune indicazioni “date col contagocce” a causa dell’incertezza sul risultato sportivo finale, quando l’undici di Leonardo Semplici superò in casa la Sampdoria nell’ultima di campionato e strappò la permanenza nel calcio che conta, Tassi e i suoi collaboratori ricevettero “informazioni più precise, prendendo atto al cento per cento del progetto di realizzazione di tutte le opere e iniziando a raccogliere le disponibilità delle 36 aziende impiegate nel cantiere, una decina delle quali imposte dalla Spal stessa poiché anche loro sponsor” ricorda Tassi.
In aula, l’ex numero uno della ditta di costruzioni ripercorre anche i rapporti con la Piemme Group e la Gielle, due aziende subappaltatrici, al centro del quadro accusatorio costruito dalla Procura di Ferrara: “I rapporti con la Piemme Group – dice – iniziarono a ottobre 2017 circa. Non avevo avuto rapporti precedenti, né la conoscevo. Era stata chiamata dal nostro ufficio commerciale dopo aver fatto un’indagine di mercato insieme ad altri due o tre nomi di azienda che avevamo valutato. Avevamo così contattato l’amministratore delegato Domenico Di Puorto e avevamo iniziato a capire se avevano le capacità economiche e finanziarie per sostenere il progetto”.
“Venne nei nostri uffici – ricorda – e gli mostrammo il progetto. Poi, man mano che passavano le settimane e i mesi e piano piano sembrava che la Spal potesse riuscire a salvarsi, quando eravamo lì per lì per firmare il contratto, Di Puorto ci avvisò che stava trattando la fusione con la Gielle, una ditta con cui collaboravano e che a giorni avrebbe dovuto assorbire la Piemme. Ci chiese se ci fossero stati problemi. Noi facemmo le nostre indagini, così come le fece anche la Spal, poi decidemmo di dare il nullaosta all’operazione. Convocammo nuovamente Di Puorto insieme ad Adelino Sebastianutti della Gielle (entrambi imputati oggi insieme a Tassi), che da quel momento ci dissero essere colui con cui dovevamo tenere tutti i rapporti”.
Poco tempo e la Gielle incontra però alcune criticità: “Circa un mese e mezzo dopo aver iniziato le opere, ricevemmo la telefonata della Manni Sipre – ditta scelta dalla Spal per la fornitura di ferro – che ci disse di aspettare il pagamento da parte della Gielle per una fornitura. Chiamai Sebastianutti e chiesi spiegazioni sul perché non arrivasse mai quel bonifico e mi rispose stando sul vago. Io avevo già iniziato i lavori e non avevo alcun tempo da perdere, quindi, visto che gli dovevo corrispondere una tranche di pagamento, gli dissi che gliene avrei pagata una metà e l’altra metà l’avrei impiegata io, per conto della Gielle, pagando la Manni Sipre“.
Nella deposizione di Tassi rientra anche una discussione tra la Panizzi Engineering Italia Srl, altra società fornitrice, e la Gielle. “Secondo la Panizzi Engineering, la Gielle non stava rispettando i pagamenti” spiega. Collegata a livello societario con la Panizzi, secondo l’imprenditore centese, ci sarebbe la Di Sarno Engineering, il cui responsabile amministrativo – rivela in aula Tassi – “mi ricattò non so quante volte telefonicamente per chiedermi quei pagamenti per conto della Gielle. Ricevetti dei ricatti molto pesanti e forse la Procura dovrebbe fare un’indagine diversa. Mi disse che se non avessi pagato, avrebbe fatto un esposto in Comune”. “Gli dissi – prosegue – di fare quello che voleva perché a me non riguardava quella partita. Se avanzavano dei crediti verso la Gielle, avrebbero dovuto fare un esposto alla Gielle e non alla Tassi Group. Inoltre lo avvertii che se non avesse smesso di telefonarmi, lo avrei denunciato. Lui smise, poi venimmo a conoscenza dell’esposto sulla difformità dei lavori allo stadio che aveva comunque presentato e io lo denunciai per calunnia“.
Quanto al cantiere, Tassi non ha dubbi sulla bontà del suo operato: “Lavorammo ventiquattro ore su ventiquattro con una mole di operai di circa 300-400 unità giornaliere. Io mi occupavo dell’organizzazione del cantiere e dei materiali che ci entravano. L’obiettivo era riuscire a realizzare l’opera in circa tre mesi. Ci riuscimmo e ricevemmo anche un premio internazionale, oltre che l’interessamento dell’Atalanta, con cui iniziammo a parlare per la ristrutturazione del loro stadio. Poi però con i fatti emersi fummo estromessi dalla loro commessa“.
Ingiustificate quindi – secondo l’imprenditore – le rimostranze che la Spal e il direttore dei lavori Lorenzo Travagli fecero a fine cantiere: “Di materiale che non è arrivato conforme non ce n’è stato. Certo, ci sono stati alcuni problemi che rientrano nella complessità del cantiere, ma tutto nella norma. A fine lavori ci furono lamentele per piccoli dettagli da parte della società mirate, a mio avviso, solo a far abbassare il conto finale dei lavori. Si parlava di uno ‘sconto’ di 800mila euro. Alla fine ne lasciai 300mila alla Spal pur di chiudere. Ma stiamo parlando di lavori fatti a regola d’arte. Non abbiamo guadagnato nulla da quel cantiere, forse solo in immagine. Su un appalto da 6 milioni e 800mila euro ci siamo portati a casa circa 200mila euro”.
Insieme a Tassi, a vario titolo, sono accusati di frode in pubbliche forniture anche Lorenzo Travagli, progettista e direttore dei lavori, Domenico Di Puorto e Adelino Sebastianutti, amministratori di fatto della Gielle e di Piemme Group. A processo per falso commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico c’è, invece, il collaudatore Fabrizio Chiogna.
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