Portomaggiore. Entrambi hanno sottolineato la serietà, la professionalità e la regolarità della loro attività imprenditoriale, respingendo tutte le accuse. Lo hanno fatto ieri (18 ottobre) in aula, rendendo spontanee dichiarazioni davanti al giudice Giuseppe Palasciano, durante l’udienza del processo in cui loro, un uomo e una donna allevatori di cani di Portomaggiore, sono finiti alla sbarra con l’accusa di frode in commercio, per fatti che sarebbero avvenuti dal 2016 al 2018.
Secondo quello che è il quadro accusatorio ricostruito dalla Procura di Ferrara, infatti i due vendevano cuccioli di razza Labrador, Bulldog francese, Golden Retriever a prezzi che variavano dai 900 ai 1400 euro, assicurando le buone condizioni dell’animale, il pedigree, il microchip e quant’altro prevede la normativa sulla vendita degli animali. Ma, almeno in una ventina di casi, si sono trovati a dover fare i conti con le rimostranze degli acquirenti, tanto da finire sul banco degli imputati.
Alcune delle parti offese avevano, nello specifico, lamentato di aver acquistato cani con caratteristiche diverse da quelle pattuite: pur avendo garantito il pedigree, questo non era mai stato consegnato. Oltre a ciò, nonostante una documentazione relativa al numero di microchip, l’animale non risultava registrato all’anagrafe canina. Anche su questo punto, i due hanno ribadito fermamente la loro estraneità a omissioni di pedigree, confermando che i cani allevati sono inoltre tutti nati in Italia.
Altri acquirenti invece avevano denunciato che il cucciolo era affetto da una malattia genetica. Altri che soffriva di displasia, mentre in un altro caso era stato venduto un cucciolo di età inferiore ai due mesi prescritti come minimo di legge. Tra questi, un cliente della provincia di Lucca, sentito ieri in aula come testimone. A lui, il cane era stato consegnato a domicilio, con “il libretto dei vaccini fatti” e “senza alcuna diversità” dal tipo di animale che gli era stato mostrato per telefono da uno degli allevatori.
Poi però – qualche tempo dopo – il cane aveva iniziato a stare male a causa di una forte infiammazione intestinale dovuta a un microbiota, di cui venne a conoscenza solamente attraverso esami specifici a sue spese. Per ovviare al problema, uno degli allevatori – così ha riferito il testimone – gli aveva proposto la sostituzione del cucciolo, ma alla fine aveva deciso di tenerlo. Oggi il cane è cresciuto, anche se ciò – ha concluso il cliente – ha comportato l’esborso in totale di 2.500 euro.
Al termine dell’udienza, l’avvocato Giampaolo Remondi, che difende i due imputati, ha fatto sapere che “ogni aspetto della vicenda che riguarda i miei assistiti, sarà chiarito dagli esami delle persone offese“. Si torna in aula il 15 novembre, quando saranno sentiti anche due tecnici Ausl.
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