di Riccardo Giori
Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Mauro Guerra, Andrea Soldi, nomi conosciuti e non, portatori di storie aventi lo stesso tragico epilogo: ma si può ancora morire nel 2024 durante un fermo delle forze dell’ordine? Dell’argomento se n’è discusso in uno degli incontri della prima giornata di Internazionale, festival del giornalismo che prende il nome dell’omonimo settimanale e che dal 2007 si svolge nella città di Ferrara.
A questo dibattito dal titolo “Coraggio”, svoltosi al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara, hanno partecipato Laura Renzi, coordinatrice delle campagne di Amnesty International Italia, insieme al giornalista Luigi Mastrodonato che ha introdotto e moderato l’evento e Antonio De Matteo. Quest’ultimo, fotografo e attore conosciuto per il suo ruolo nella serie Mare Fuori prodotta da Rai, ha presentato la mostra “La lotta, il coraggio e l’amore – Dodici storie di violenza di stato”, progetto fotografico prodotto in collaborazione con Amnesty International di cui lui stesso è anche attivista e che ritrae i famigliari di chi ha perso la vita proprio mentre era in custodia alle forze dell’ordine, affrontando successivamente un travagliato percorso legale per ottenere giustizia.
All’incontro ha partecipato anche Elena Guerra, sorella di Mauro Guerra, 32enne di Carmignano Sant’Urbano, ucciso il 29 luglio del 2015 dall’ex comandante della stazione dei Carabinieri dopo un’estenuante trattativa per sottoporre il ragazzo a un trattamento sanitario obbligatorio.
“Una delle dodici storie che vedrete nella mostra è anche quella di Paolo Scaroni, tifoso del Brescia lasciato in fin di vita alla stazione nel 2005, pestato a sangue da agenti di polizia coperti da caschi e bandane sul viso” commenta De Matteo, che continua ricordando come la storia Scaroni finì anche bene poiché sopravvisse, ma “fu ridotto all’invalidità permanente del 100% e se avesse avuto intorno a sé degli agenti coi codici identificativi si sarebbe potuto risalire ai responsabili, invece i processi si sono risolti in nulla di fatto perché non è stato possibile risalire ai responsabili”.
Laura Renzi di Amnesty in relazione al caso Scaroni aggiunge: “Proprio per questo motivo con Amnesty abbiamo sempre chiesto bodycam e codici identificativi per gli agenti di polizia a tutela sia loro che dei cittadini, ma il nuovo disegno di legge sulla sicurezza pubblica invece va nella direzione contraria e ci preoccupa molto, tant’è che nell’ultimo periodo si sono intensificate le proteste di piazza contro di esso, e i nostri osservatori sono sempre in strada a monitorare che il diritto di protesta venga rispettato e che non ci sia un uso spropositato della forza da parte della polizia, cosa che invece potrebbe avvenire con l’entrata in vigore del nuovo decreto legge sulla sicurezza pubblica che di fatto aumenta gli strumenti a disposizione delle forze dell’ordine per reprimere il dissenso anche nonviolento”.
“Spesso molte storie rimangono invisibili” dice Luigi Mastrodonato, giornalista freelance che si occupa principalmente di diritti umani: “Prendiamo come esempio la storia di Sekine Triore, giovane migrante maliano ucciso l’8 giugno 2016 nella vecchia baraccopoli di San Ferdinando in provincia di Reggio Calabria da un colpo di pistola sparato da un carabiniere, oggi accusato di eccesso colposo di legittima difesa, una storia di cui quasi nessuno si interessò proprio perché straniero e migrante”.
Durante il dibattito si sono anche ascoltate le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona il calvario della ricerca di giustizia, come la sorella di Mauro Guerra, alla quale fu detto che il fratello era stato sedato quando invece era già morto. Ezio Guerra, padre di Mauro, è oggetto di uno dei dodici ritratti di famigliari che si sono battuti per far emergere la verità rispetto ad abusi provocati dalle forze dell’ordine.
All’incontro avrebbe dovuto portare la propria testimonianza anche Rudra Branzino ma che all’ultimo non ha potuto partecipare. Rudra è figlio di Aldo Bianzino, falegname 44enne originario di Vercelli, pacifista con la passione per i viaggi e le filosofie orientali, venne arrestato nel 2007 per essere stato trovato in possesso di alcune piantine di marijuana, morì mentre era in arresto in circostanze mai chiarite. Nel 2018 il figlio chiese la riapertura del processo per la morte del padre, avvenuta nel carcere di Perugia meno di 48 ore dopo l’arresto, alla luce di una nuova perizia medico legale che sollevava diversi dubbi sulla ricostruzione ufficiale.
Secondo la giustizia italiana, infatti, Bianzino sarebbe deceduto in seguito ad un aneurisma mentre era nella cella d’isolamento. Nel 2009 l’indagine contro ignoti per omicidio fu archiviata ma nel 2015 l’agente Gianluca Cantoro venne condannato in via definitiva ad un anno di carcere per omissione di soccorso, poichè il processo stabilì che i medici vennero avvertiti in ritardo.
Mastrodonato dice anche che “i dati relativi ai decessi avvenuti in carcere sono incompleti poiché difficilmente reperibili, le cause di morte frequenti sono generalmente per suicidio o “non definite” questo perché le Istituzioni non hanno interesse a comunicare le informazioni sulla morte di un detenuto che perde la vita in mano dello Stato, ed è difficile reperire informazioni proprio per la mancata trasparenza”.
“Queste persone sono dei combattenti, perché hanno lottato per anni con ogni mezzo per far emergere la verità. Tutte le storie che ho sentito – conclude De Matteo – raccontano all’unanimità la difficoltà nell’ottenere giustizia quando si subiscono soprusi da parte delle forze dell’ordine, per questo è fondamentale raccontare queste difficoltà affinché non vengano silenziate del tutto”.
Tutte le foto della mostra “La lotta, il coraggio e l’amore – Dodici storie di violenza di stato” di Antonio De Matteo saranno esposte dal 15 al 19 novembre all’Off Topic di Torino.
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