di Stefania Scarfò
Nell’ultimo giorno di discussione prima dell’attesa sentenza del processo Bergamini è stato l’avvocato Angelo Pugliese, difensore di Isabella Internò, a tenere la sua arringa.
«Mi spetta il compito ingrato di difendere un’innocente – esordisce Pugliese -. Isabella ha sempre sostenuto la causa del suicidio nonostante la sera stessa il presidente del Cosenza Serra, presentatosi a casa sua le avesse suggerito di parlare di incidente stradale. Ma no, lei conferma l’ipotesi del suicidio. Si parla di verità per Denis, io credo che al di là di questo ci sia, da parte della famiglia Bergamini un discorso economico da fare. Si insegue un ipotetico risarcimento economico di 20 milioni di euro».
Il legala passa poi in rassegna gli aspetti ritenuti cruciali dal collegio difensivo a cominciare dalle incongruenze sull’orologio di Denis (restituito subito o no?) sul quale non risultano tracce di dna né di Denis né di eventuali sconosciuti, ma solo quelle di Donata e Domizio Bergamini. Pugliese introduce anche il ruolo del procuratore Abbate: «Ma chi è stato a non voler fare l’autopsia? Non è certo stato Abbate né Isabella Internò. È stata la famiglia Bergamini, è stato Domizio a dire di no perché voleva farla fare a Ferrara. Perché noi siamo dei trogloditi del sud e non siamo all’altezza?».
E ancora, incalzando la Corte presieduta da Paola Lucente: «E voi avete fatto venire qui, lo avete fatto scappare qui, un magistrato in pensione (Abbate, ndr) per rispondere a delle accuse. Non mi era mai successo in tanti anni di assistere ad una cosa del genere».
Nelle valutazioni del legale anche le indagini portate avanti, negli anni, dagli avvocati della famiglia Bergamini, prima Toschi e poi Gallerani. Il primo, a ridosso del processo per omicidio colposo a carico dell’autista del camion Raffaele Pisano, aveva scandagliato le possibili piste legate al suicidio, valutando ipotetiche depressioni, istinti suicidi ereditari o malattie infettive come l’Hiv. Altre indagini, portate avanti dal maresciallo Ingrosso vedevano in Michele Padovano una possibile influenza negativa per Denis Bergamini. «Tutte queste ipotesi non sono state prese in considerazione dalla famiglia Bergamini né dalla Procura di Castrovillari. Ve le hanno nascoste. Qui non si cerca la verità; si vuole condannare un’innocente. Al rogo la Internò! La famiglia e la Procura hanno nascosto questi elementi».
In un altro passaggio della sua accorata discussione, l’avvocato Pugliese si rivolge nuovamente con tono perentorio verso la Corte, e in particolare verso la presidente Lucente: «Lei ha acconsentito – le rinfaccia il legale – che venisse sentito qui in aula Dino Pippo Internò, una persona indagata senza l’assistenza di un avvocato. Qui si aprono e chiudono indagini solo perché fa comodo, perché bisogna arrivare ad un risultato».
Elemento risolutivo del processo, così lo ha definito Pugliese, è il famoso vetrino 13 che, secondo la Procura certifica la non vitalità delle lesioni al bacino di Denis ma che, secondo l’avvocato Pugliese potrebbe esser un prelievo relativo al momento in cui il camion di Pisano fa retromarcia (quando ormai Denis è già morto) e per questo non esser indicativo di nulla. Quindi una lunga discussione sulla supposta inattendibilità del dottor Fineschi e sui periti della sua scuola coinvolti nelle indagini sul caso Bergamini.
«Abbiamo fatto un processo sul nulla, per questo mi scuso con voi come ho già fatto con Isabella Internò – prosegue Pugliese -. Qui stiamo condannando il Sud, sono venuti a parlarci di delitto d’onore. La verità è che Donato Bergamini si butta sotto il camion di Pisano, viene parzialmente sormontato, muore in pochi secondi e perde tutto il sangue. Isabella va da Infantino con Panunzio, nel frattempo sul luogo arrivano altre persone che inducono Pisano a fare retromarcia. Il vetrino 13 non ha alcuna valenza e la glicoforina non dice nulla».
Arriva quindi un passaggio cruciale dell’arringa dell’avvocato che afferma che «Fineschi sicuramente è consapevole dell’innocenza dell’imputata, la Procura ne è consapevole e allora mi chiedo: la Procura è incapace o connivente? Voi – rivolgendosi alla Corte – me lo dovete dire se è connivente. Dovete restituire tranquillità alla famiglia Internò. Il Signore ci guarda».
Dopo una pausa si riprende e Pugliese riparte dal capo di imputazione nei confronti di Isabella Internò e asserisce: «L’accusa deve provare al di là di ogni ragionevole dubbio tutto quello che è riportato nel capo di imputazione. Deve dimostrare che Isabella abbia organizzato l’incontro con Denis, deve dimostrare che tutto sia stato organizzato in concorso con altre persone, che Denis sia stato narcotizzato o ridotto nelle capacità di difesa, che sia stato soffocato con un mezzo soft e poi sia stato steso per terra senza vita o quasi per esser fatto sormontare dal mezzo guidato da Pisano. Non potrà farlo perché Denis quel giorno non riceve nessuna telefonata in camera, perché c’è la prova che Denis esce da solo dal cinema e perché c’è la prova che Isabella e Denis sono soli quando vengono fermati al posto di controllo da Barbuscio. Non c’è prova che sia stato narcotizzato né che siano state utilizzate sostanze volatili e soprattutto non ci sono segni di difesa. Fineschi nei casi sospetti parla sempre di mezzo soft. Parlano di mezzo soft perché non si può dimostrare, la Procura lo sa e per questo ha escluso l’aggravante».
Prima delle conclusioni un passaggio sulle testimonianze di Forte, Panunzio e Alleati. Ritenute veritiere quelle di Panunzio, che porta Isabella fino al bar di Infantino, assolutamente inattendibili quelle di Forte e Alleati.
Quindi le conclusioni: «Denis Bergamini voleva giocare a pallone e voleva nella sua vita Isabella Internò. Quel giorno, il 18 novembre 1989 vede passare il camion di Pisano e ci si butta sotto. Parliamo della morte di un uomo buono, di un idolo per la mia generazione. Un uomo buono che a causa delle cattive compagnie vede il suo sogno di calcio terminare. Isabella non vuole seguirlo e tutti i suoi progetti naufragano, decide così di morire. Per questa morte non può pagare Isabella Internò, per questa morte non può pagare l’unica persona che gli voleva bene e che lo aveva tenuto lontano da Padovano. Isabella è una donna coraggiosa, ha affrontato il processo a testa alta. Io vi chiedo una volta per sempre di assolverla da questo ingiusto processo e mandarla a casa dalla sua famiglia. Assolvetela perché il fatto non sussiste!».
Si torna in aula questa mattina quando pm e parti civili faranno sapere se intendono o meno replicare all’arringa difensiva. Dopo di che la Corte si riunirà in camera di consiglio per emettere la sentenza, attesa in giornata.
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