Hanno peccato di ignoranza, analfabetismo storico e, si potrebbe aggiungere, mancanza di rispetto e senso di civiltà. Reati “morali” non contemplati nel codice penale. E così nei giorni scorsi il tribunale ha accolto la richiesta di archiviazione per i 26 “bravi ragazzi” finiti nel registro degli indagati per apologia di fascismo, propaganda e istigazione all’odio razziale, vilipendio delle forze armate, minaccia aggravata e atti osceni in luogo in pubblico.
Il caso è quello della cena della vergogna, messa in scena da commensali di età tra i 22 e i 32 anni, all’interno del ristorante La Fraschetta di via Carlo Mayr lo scorso 22 dicembre, per festeggiare il compleanno di uno di loro.
Arrivati alla spicciolata al locale, alcuni già ubriachi, ragazzi e ragazze, i primi vestiti con tute arancioni ispirate ai carcerati di Guantanamo, le seconde con divise da poliziotte sexy, avevano iniziato a spaccare diversi bicchieri e a distribuire volantini con scritti, nero su bianco, cori a sfondo razziale, fascista, omofobo e misogino, tra lo stupore e l’indignazione dei commensali per ciò che di lì a poco sarebbe successo.
Avevano infatti iniziato a inneggiare alle figure di Hitler e Mussolini, esaltando fascismo, nazismo, la deportazione degli ebrei, la strage di Nassiriya, l’uccisione del poliziotto Filippo Raciti, fino ad arrivare all’esaltazione di fatti di cronaca nera, come la morte di Yara Gambirasio o il disastro della Costa Concordia all’Isola del Giglio nel 2012.
I ventidue ragazzi e le quattro ragazze avevano inoltre proseguito intonando cori razzisti anche contro il calciatore Mario Balotelli e all’atleta azzurra Fiona May, quest’ultima accomunata con toni offensivi alla cameriera del ristorante per via del colore della pelle.
A ciò si era aggiunto, non solo il comportamento del festeggiato che, una volta salito su una sedia, aveva mostrato i genitali ai presenti, scagliando poi un pugno contro la porta del bagno, ma anche la minaccia di morte, mimando il gesto del taglio alla gola, da parte di uno dei presenti nei confronti di una cliente intervenuta per chiedere di smettere quei comportamenti e nuovamente gli inni a Benito Mussolini scanditi davanti ai poliziotti dell’Upgsp arrivati sul posto per identificare i responsabili dei fatti.
La serata era stata organizzata in ogni suo dettaglio nella chat WhatsApp denominata “Fratm, detenuti in attesa di liberazione”, dove i partecipanti avevano scritto una sorta di decalogo, tra cui il divieto di riprendere col cellulare o pubblicare storie sui social network quanto accaduto.
Già a giugno il pm Alberto Savino aveva chiesto l’archiviazione plenaria. Le indagini infatti hanno permesso di ritenere quanto accaduto un becero tentativo di attirare l’attenzione con comportamenti osceni e volgari, acuiti dall’alcool con l’obiettivo di creare un senso di disgusto, repulsione e disturbo negli altri commensali. Una festa di compleanno a a metà tra la goliardia spinta e il black humor. Sopra le righe quindi e senza alcun tipo di vergogna.
Lo stesso vale per i cori di vilipendio alle Forze Armate, per cui tra l’altro non è emerso con sufficiente chiarezza chi li avesse pronunciati, archiviati poiché ritenuti fine a sé stessi e incapaci di influenzare gli altri, mentre gli atti osceni in luogo pubblico sono stati depenalizzati. Quanto alle minacce, infine, non c’è stata la querela necessaria per procedere da parte della persona offesa, che non è stata comunque in grado di individuare il responsabile, rimasto quindi ignoto.
A questo si aggiunge quanto emerso dagli interrogatori richiesti dai partecipanti alla cena che, spesso dimostrando ignoranza e analfabetismo storico relativamente ai nomi, ai fatti o alle vittime dei cori cantati nel locale, si sono giustificati dicendo di aver alzato un po’ troppo il gomito e chiedendo scusa per quanto accaduto.
La giudice Alessandra Martinelli ha ritenuto “pienamente condivisibili” le argomentazioni della procura. Di conseguenza, ritenuta l’infondatezza di reato, ha disposto l’archiviazione e ordinato il dissequestro del materiale informatico che era stato prelevato dalle abitazioni di alcuni degli indagati.
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