Noi Orsatti siamo arrivati nel 1959.
Io avrei compiuto di lì a poco tre anni, mia sorella due. Un appartamento grande, per una famiglia di cinque persone che veniva da una soffitta di Via Ugo Bassi, ma soprattutto luminoso con un balcone su Corso Isonzo e un terrazzo affacciato su un cortile interno.
Il condominio Garibaldi forma con i palazzi contigui un quadrilatero irregolare attorno a quel grande cortile, allora senza recinzioni e pieno di alberi: robinie, di cui alcune sopravvissute fino a poco tempo fa con tronchi rugosi e contorti e dai profumatissimi fiori bianchi a grappolo, e pioppi i cui piumini riempivano l’aria di maggio come i voli delle rondini e dei pipistrelli sul far della sera in estate. Come le grida delle madri dai terrazzi che chiamavano a raccolta i figli, una nutrita banda di bambini e ragazzini scatenati che organizzavano giochi poveri, giochi di una volta, a nascondino, con la palla, la corda per saltare, le piste per i tappi di bottiglia e le palline con i volti dei ciclisti e che finivano con lo scorticarsi i ginocchi e i gomiti con cadute rovinose in bici facendo cross in quella che chiamavamo “la palude”, il pezzo di cortile più misterioso e sconnesso, fitto di alberi e irto di rosai selvatici che ci lasciavano in ricordo graffi e strappi di vestiti. E poi ci si riposava stesi sull’erba, all’ombra ristoratrice di una vera e propria cupola verde.
Sono ancora vivi i ricordi dei tours nelle cantine alla ricerca di fantasmi, organizzati da Andrea Musi, il giornalista scomparso nel 2022 allora nostro leader, le urla dei condomini del piano terra perché facevamo effettivamente un chiasso del diavolo e “che andassimo a giocare ognuno davanti a casa sua”. Come se fosse possibile contenere un sacco di pulci… Anche perché i più scalmanati tra i maschi si divertivano a frenare con le bici sollevando nugoli di polvere tra i crocchi delle donne di casa che, ciascuna con la sua seggiola, facevano chiacchere e lavoravano chi a maglia e chi all’uncinetto.
Il nostro mondo cominciava e finiva lì. E non c’era alcun altro posto in cui volessimo andare. Avevamo anche una fontanella per dissetarci, nessuna automobile a impedirci di giocare perché erano le bici di grandi e piccoli a farla da padrone e pure una cappelletta con l’immagine della Madonna, davanti alla quale in maggio si diceva il rosario.
E, saliti per la cena i figli recalcitranti, scendeva sul cortile un meraviglioso silenzio.
La nostra famiglia nel frattempo era cresciuta di altri due figli. Il più piccolo, ora ultra cinquantenne, a sette anni piantò proprio di fronte al nostro terrazzo un bagolaro. Ora è un albero maestoso, sano e dritto come un fuso. Un superbo guardiano, che vigila sulle vestigia di un tempo che non c’è più ma che vive negli anziani che siedono sotto gli sparuti alberi rimasti al di fuori dell’area recintata, con divieto di accesso, dal privato che l’ha comperata da ACER e che potrebbe trasformarla in parcheggio.
Ma perché, perché questo scempio? Perché stravolgere con una vendita un cortile che si può definire storico? C’è una risposta sensata, e non dovuta a mero interesse, a questo?
Noi, il bosco in città, ce l’avevamo già da un pezzo…
I fratelli Orsatti
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