Politica
5 Settembre 2024
Il professor Andrea Schillaci e il capogruppo Pd a Cento Mattia Franceschelli parlano dei pericoli della riforma del premierato: “La democrazia così diventa una caricatura”

Premierato, cittadini e libertà: “Pericolosa riforma costituzionale”

di Redazione | 5 min

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Premierato: tra potere ai cittadini, investitura, suggestione di libertà. Questo il tema del dibattito moderato dalla giornalista e rappresentante della rivista “Left” Camilla Ghedini martedì sera alla Festa dell’Unità in piazza Buozzi a Pontelagoscuro. A parlarne con lei il professore associato di Diritto Pubblico Comparato alla Sapienza di Roma Andrea Schillaci e il capogruppo del Pd del Comune di Cento Mattia Franceschelli.

“Le opposizioni si sono unite nelle piazze”, introduce Ghedini. “Riforma diretta del presidente del Consiglio e suffragio universale: sono parole che sanno di democrazia. Eppure, ci sono delle insidie: il ridimensionamento del presidente della Repubblica, e la scomparsa di figure moralmente esemplari, in quanto senatori a vita, come Liliana Segre”.

“Il tema è complesso e ha una sua gravità”, argomenta Schillaci. “Da molti anni si vuole una forma stabile di governo, rispettando l’elettore, ma qui si va oltre, perché si trasforma anche la forma dello Stato. La Costituzione della Repubblica parla chiaro: si parte dal basso e, attraverso il voto e i corpi intermedi, si arriva a costruire un’unità politica. Con l’elezione diretta si capovolge questo meccanismo: dal basso si elegge non solo il presidente del Consiglio, senza confronto né dialogo, ma anche una super maggioranza parlamentare garantita. Il potere si legittima schiacciando la dinamica politica al rapporto tra i tanti e l’uno: e una democrazia ridotta a un solo voto non è sana. Il voto non basta a fare la democrazia: chi è in minoranza deve avere la garanzia di poter esprimere il suo parere”.

E come far valere altre ragioni nella quotidianità al cittadino non addetto ai lavori, che ascolta le frasi accattivanti di Giorgia Meloni? Risponde Franceschelli: “Una riforma tale avrebbe ripercussioni in tutto il Paese. La premier ha detto che questa è la madre di tutte le riforme e – la mia è una provocazione – dal suo punto di vista ha ragione per l’accentramento dei poteri che vuole la destra. Ma non lo è per noi, che portiamo avanti altre battaglie per porci come credibili interlocutori insieme ad altre forze politiche e civiche per difendere la Costituzione. Una grande coalizione può impostare la battaglia per un referendum oppositivo, che non è contrapposizione tra destra e sinistra, ma tra una destra che vuole cambiare forma di governo e i cittadini che vogliono conservare la libertà e la democrazia: perché il potere costituente appartiene a tutti gli italiani”.

Il cittadino subisce il fascino del potere? E come si concilia con l’astensionismo? “Quando voto non sento potere ma una grande responsabilità”, risponde Schillaci. “Parlare di potere significa evitare la responsabilità: chi governa vuole questo. Si ha il potere di decidere a chi affidare le chiavi di Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama, senza più assumersi la responsabilità del confronto. La democrazia si riduce a una caricatura e si fugge dalle responsabilità: qui sta il fascino del potere. L’astensionismo, poi, è continuo e questo non è un antidoto. Per ricostruire la fiducia nelle istituzioni ci vuole la fatica, non l’identificazione in un capo, che così è un gigante con i piedi di argilla, perché dietro ha il nulla. Un grande leader ha intorno un processo politico che funziona: non un Parlamento di figuranti”.

“Le forze politiche devono aiutare la consapevolezza nei cittadini, e quando si parla di Costituzione c’è sempre una grande mobilitazione, anche di giovani”, aggiunge Franceschelli. “Chiamare la popolazione a raccolta nel percorso del referendum significa mettere il cittadino al centro del processo decisionale. L’accentramento del potere fa breccia, ma è facile smascherare l’inganno: il cittadino, in questo modo, ha meno poteri”.

Un’altra questione che va a toccare la riforma: il ridimensionamento della figura del presidente della Repubblica. “Da un certo punto in poi basterà una maggioranza istituzionale e costituzionalizzata, compattata e subordinata al leader, per eleggerlo”, spiega Schillaci. “Senza il dibattito tra le forze politiche. Ma il vero punto di menomazione è politico: vince chi è eletto da un Parlamento ostaggio di una super maggioranza o chi ha la forza del voto dei cittadini? Gli spazi delle forme di garanzia del presidente della Repubblica sono così ridotti”.

“C’è l’illusione di rafforzare la leadership del Paese, ignorando ciò che c’è intorno”, prosegue Schillaci. “C’è una continua ondata, a livello internazionale, di una destra che coltiva il sogno – o l’incubo – di identificarsi con il leader. Anche noi abbiamo questa fascinazione, che possa risolvere i problemi, e siamo abituati a fare riferimento a Stati autoritari. Ma bisogna fare attenzione quando si parla di stabilità e di rispetto del voto degli elettori; questo non è rispettato solo se il Governo non cambia mai in cinque anni. Rispettare il voto è tanto altro, come occuparsi di diritti, interessi e uguaglianza dei cittadini. Ma comporta più fatica parlare in questi termini, perché significa assumersi la responsabilità della politica e della comunità. Quindi si taglia corto: io, il popolo”.

La riforma gemella è quella dell’autonomia differenziata. “Anche questo tema sta mobilitando tanta gente”, spiega Franceschelli. “Lo dimostra la nostra raccolta firme: la futura battaglia referendaria si può vincere. L’autonomia differenziata sembra una delega in bianco da lasciare alle regioni, fino all’ennesimo contenzioso alla Corte costituzionale. È un provvedimento che risponde a esigenze elettorali, frutto di un mercimonio, senza chiedersi come si possa armonizzare nel sistema istituzionale e costituzionale. Nostro compito è smascherarlo, proseguendo su queste nostre due battaglie”.

L’ultima battuta di serata è del prof. Schillaci: “Premierato e autonomia si trovano in un contesto in cui ci sono partiti che non hanno alcun legame con il terreno in cui la Costituzione è nata. La posta in gioco storica: sostituire il patto costituente con qualcos’altro”.

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