di Nicolò Govoni
Sono state emozioni uniche a Parigi. Ha vissuto così la sua seconda Olimpiade la ventitreenne Marta Bertoncelli, giovane talento della canoa italiana nata a Ferrara e cresciuta nel Canoa Club della città estense. Dopo Tokyo, Marta si è pienamente immersa nell’atmosfera parigina: non è arrivata la medaglia, ma ci sono tutti i presupposti per raggiungerla nel futuro.
A Parigi la tua seconda Olimpiade: com’è andata?
“Sto ancora tirando le somme. Ci sono state tante più cose positive che negative, sicuramente. È stata un’esperienza neanche comparabile a Tokyo: è stato tanto più grande rispetto alle mie aspettative, un’esperienza proprio bella che porterò sempre con me. Il calore di un’Olimpiade così è tutta un’altra cosa: le persone, il coinvolgimento a livello umano, si respirava un’aria di fratellanza, come se tutta la città fosse coinvolta, dalla cerimonia alle gare, dove c’erano quasi 20 mila spettatori”.
“Competere con così tanto pubblico è bellissimo, non ha prezzo. E in gara, se sei concentrato, senti solo un sottofondo. Il nostro stadio della canoa era come un anfiteatro, e gli spalti quasi lo inglobavano lo stadio, era molto suggestivo. I primi cinque minuti del primo giorno ho visto le tribune piene e sono rimasta a fissarle a bocca aperta, non ci credevo”.
Sei arrivata in semifinale nello slalom C1, agli ottavi nel kayak cross.
“Sono arrivata con obiettivi diversi, sicuramente. Ci si può preparare bene, ma bisogna riuscire a gestire la pressione, a livello di nervi: basta un attimo nel nostro sport, mezzo centimetro fuori dalla porta e finisce tutto. Non ho raggiunto quello che volevo, questo è il mio rammarico più grande: non ho lasciato fuori dalla canoa quello che c’era all’esterno, è la cosa più difficile da fare. In questo sport maggiore è l’esperienza e più si riesce a gestire le emozioni in partenza. Io mi sono fatta sovraccaricare e sopraffare dalle cose belle che c’erano, sono entrate in acqua con me, a livello emotivo: e non ho fatto la gara con quello che so fare io”.
“Certamente l’Olimpiade ha la sua importanza: ma un atleta maturo deve rendersi conto che non può amplificare un dispiacere per un risultato così, anche se è un’Olimpiade. Deve essere trattata come le altre gare: volevo un altro risultato, c’è tanto dispiacere, ma è giusto imparare il più possibile. Solo così la prossima andrà meglio”.
Pensi di dover migliorare sotto questo aspetto emotivo?
“Si cresce sul livello tecnico e fisico, ma la spinta che mi dà questa Olimpiade è lavorare sul livello emotivo e sulla gestione delle emozioni di un ambiente come quello, che ti fa sentire molto piccolo rispetto a quello che sei. È come essere in un mondo fatato, almeno io l’ho vissuta così anche a Tokyo, ma a Parigi molto di più. Mi piace sapere anche di avere tanto su cui lavorare: ho tutte le potenzialità, mi aiuta essere molto giovane, e quindi cerco di imparare e continuare a crescere. Sono convinta di una cosa: se non doveva arrivare adesso, allora è giusto così. Significa che non ero ancora pronta, seppure con una potenzialità da top 5, sicuramente. La pressione in questi momenti gioca un ruolo importante”.
Quali differenze ci sono tra le due specialità?
“Nella canoa slalom c’è la canadese, quella che faccio io: siamo sedute in ginocchio con una monopagaia, quindi una pala solamente. Invece il kayak è quello più classico: sei seduto con una pagaia a doppia pala, è più semplice. Sono solamente queste due discipline nella canoa slalom: all’Olimpiade vanno un maschio e una femmina per canadese e kayak, quindi quattro atleti in tutto per l’Italia”.
Come ti sei avvicinata alla canoa?
“Per mio papà, principalmente: andava in canoa e io, di conseguenza, ho masticato canoa da quando sono nata. Poi ho avuto il privilegio di scegliere quello che volevo fare: ho provato tanti sport, ma sono tornata su quello che ho sentito come mio”.
Com’è la vita quotidiana a Parigi, fuori dalle gare?
“È stata un’esperienza fantastica. Al villaggio il cibo non era granché, per dormire faceva molto caldo. Di per sé era molto bello, ben strutturato e in un bel posto, ma dormirci, da quel che ho sentito, era pessimo: ma non l’ho provato. Noi eravamo nell’hotel vicino al canale dove si svolgevano le gare, ed era veramente tanta roba: bello, ottimo cibo, si stava benissimo. Siamo stati molto fortunati in questo: poi potevamo andare al villaggio quando volevamo, godendoci solo il suo bello”.
Sono finite le Olimpiadi: come ci si allena adesso?
“Io sono under 23: ho fatto il Mondiale Under prima di Parigi, e adesso sono in partenza per l’Europeo Under 23 in Polonia. Non ho mai smesso di allenarmi. Per come sono fatta, se arrivo a un risultato che non voglio, ho la carica di continuare, e metterci ancora più impegno. Anzi, ho avuto tantissima voglia di allenarmi”.
Pratichi uno sport che ti fa viaggiare in tanti luoghi meravigliosi nel mondo.
“Sono sempre in viaggio. Il nostro sport si pratica su fiumi, sia artificiali sia naturali, e ci spostiamo in base ai luoghi delle gare, per abituarci al tipo di canale e di acqua. Quindi viaggiamo tantissimo, è la parte più bella del mio sport”.
E poi, gli studi di psicologia.
“Sì, studio psicologia in un’Università telematica, perché altrimenti non ce la farei mai. Concilio studio e sport nel senso che non è la mia priorità: è un piano b, nel momento in cui smetterò di fare l’atleta. E mi aiuta a tenere piedi per terra e ad avere qualcosa che mi distacca dallo sport”.
Pensi già a Los Angeles?
“È un percorso lungo, ma subito dopo Parigi la mia testa è già lì, senza affrettare le cose, cercando di crescere più possibile in questi tre anni, fino alla qualifica olimpica, per arrivare pronta. Los Angeles e Brisbane a livello di età potranno essere le Olimpiadi della maturità per me. I presupposti sono tutti positivi”.