La lettera, firmata da circa 50 commercianti, che ha scoperchiato il vaso di Pandora è solo l’ultimo tassello di un malessere profondo che cova da oltre un anno in città. Imputati principali sono gli eventi sul Listone, quelli in Darsena e le ormai innumeri iniziative di street food che spuntano come funghi a Ferrara.
Il problema è serio e non va liquidato come malessere di una sola parte del commercio o, peggio, come tentativo politico di screditare l’amministrazione in carica.
Qui abbiamo persone che coltivano da anni attività importanti, che danno lavoro a decine di persone e che hanno sempre creato un indotto economico per la città.
Ma la pazienza, di molti di loro, è ormai al culmine. Da tempo fervono incontri, in primo luogo tra gli esercenti e in secondo luogo tra esercenti e associazioni di categoria. Tutti si sono accorti che i soldi in cassa languono. Il turismo è in continuo calo. E il caso speciale degli eventi in Darsena sta dando il colpo finale.
Già l’anno scorso gli esercenti avevano protestato con il Comune e con l’allora assessore delegato al commercio Matteo Fornasini. Alcuni di loro hanno fatto presente che avere 100 giorni in un anno di eventi di street food è come puntare una pistola alla tempia dei locali. Manca poi una programmazione, una sede di regia e, soprattutto, regole chiare.
Se in Darsena due attività hanno potuto aprire i battenti (stagionali) dopo aver vinto un regolare bando è giusto che ci stiano e che lavorino quanto più possono. Ma mettere, senza nessun criterio apparente, quasi trenta attività, con costi non semplici da sopportare, è una mossa che rischia di scompaginare chi, da professionista serio, è abituato a programmare e investire.
A fare da pompiere ma senza rinunciare a portare sotto il Municipio le legittime proteste degli esercenti è stato Matteo Musacci, presidente provinciale della Fipe (costola di Ascom Confcommercio); “Dire di no alle manifestazioni in Darsena sarebbe miope e fazioso – sono le parole di Musacci a Estense.com -. La Darsena va valorizzata in una maniera che porti benefici a quante più persone possibili. Ma non si può non considerare che in centro ci sono decine di imprenditori il cui fatturato dà lavoro a centinaia di famiglie”.
Musacci fa presente che “c’è chi in questi mesi è dovuto ricorrere a prestiti e finanziamenti per far fronte ai mancati guadagni”.
E allora questo potenziale “va sfruttato nella maniera il più possibile condivisa. In quel luogo ci sono due attività stagionali che hanno aperto dopo essere state selezionate con un regolare bando e hanno tutti i diritti di essere lì e di fare impresa”.
Ma le regole “devono essere chiare per tutti se a quei quattro si aggiungono 25 stand che per forza di cose sottraggono clienti agli esercenti del centro. E allora sediamoci attorno a un tavolo perché c’è un problema che non va sottovalutato”.
Tra i commercianti c’è stato anche chi, come Daniele Botti, imprenditore e candidato sindaco con una propria lista alle recenti comunali, fa sapere che “c’è gente in questa città che, pur facendo impresa da una vita, si ritrova a dover richiedere un fido in banca per sopravvivere all’impatto drammatico di concerti in centro ed eventi in Darsena. Tutto ciò, oltre che molto grave, denota una mancanza di rispetto che fa accapponare la pelle”.
Botti si chiede anche “a quale prezzo viene servito lo spazio pubblico della Nuova Darsena ad un organizzatore privato di eventi che riceve il nulla osta all’organizzazione dell’evento senza passare da bando pubblico” e per quale motivo l’amministrazione “non si cura, almeno, di far passare da bando pubblico sia l’assegnazione dell’organizzatore che l’assegnazione degli stand secondo standard qualitativi”.
Nella Nuova Darsena poi “hanno aperto, in pianta stabile, attività che hanno vinto un bando meritocratico. È giusto tranciare drasticamente il loro fatturato impiantando – nei pressi della loro attività – 29 competitor diretti per cinque settimane?”.
Botti conclude con una proposta: “La Darsena, secondo una visione che ritengo sostenibile, deve vivere con un numero variabile di attività fisse – dai 3 ai 5 chioschi complessivi massimi – prendendo ispirazione da quelli attualmente assegnati tramite bando meritocratico.
Questo darebbe presenza continuativa sulla zona contribuendo a rendere più complesso il proliferare di micro-criminalità e altre problematiche che travolgono le zone poco presidiate”.
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