Quello che non era riuscito alla “congiura delle barbette” nell’estate del ’39, quando la guerra non era ancora scoppiata, e l’Italia sarebbe stata ancora in grado di fare scelte diverse da quella infausta di consegnarsi nelle mani della Germania, riuscì soltanto nel Luglio del ’43, quando il destino era già scritto, segnato dalla crisi drammatica dovuta alle rovinose sorti belliche.
Il giorno 10 le truppe alleate erano sbarcate in Sicilia, e, soltanto pochi giorni dopo, le cronache del tempo ci consegnano le immagini dolenti del Papa che prega in mezzo alle macerie di una Roma pesantemente bombardata, emblema di una tragedia che volge al collasso.
Se si voleva fermare il massacro era il momento di agire. E’ vero, di quella stagione mancava all’appello certamente il protagonista più famoso e influente, il Maresciallo dell’Aria Italo Balbo morto misteriosamente, abbattuto da fuoco amico nei cieli di Tobruk, ma erano ancora presenti De Bono e Grandi, e a quest’ultimo in particolare non mancavano nè la decisione nè la spregiudicatezza per prendere l’iniziativa.
Aggiungi che nel frattempo era soprattutto mutata la situazione del Paese, stretto da tre anni nella morsa di una guerra disastrosa che aveva mostrato fin da subito tutta la nostra debolezza, a cominciare dalla colpevole impreparazione di una macchina bellica, che non poteva venir coperta dal comportamento, in molti casi spinto fino all’eroismo, delle nostre truppe.
Era già iniziata quella disgregazione del fronte interno che la propaganda di regime non era più in grado di controllare. In questo clima si riesce meglio a comprendere come sia stato più facile giungere a quell’Ordine del Giorno Grandi che di fatto costituisce l’elemento di rottura di una situazione ormai insostenibile, e che aprirà la strada al Re per sollevare Mussolini dall’incarico.
Alle ore 2,30 di quell’afoso 25 Luglio, nella Sala del Pappagallo, con 19 voti favorevoli, 7 contrari e 1 astenuto, di fatto finiva il Fascismo. Tra i 19 anche quattro ferraresi, fascisti della prima ora, che negli anni avevano ricoperto importanti incarichi.
Tra loro spicca certamente Edmondo Rossoni, attivista nelle fila del sindacalismo rivoluzionario, interventista, membro del Gran Consiglio fin dal 1930 e ministro dell’Agricoltura fino al ’39, il geniale ispiratore di quella utopica Tresigallo che è considerata la capitale dell’architettura razionalista, nella sua dimensione ideale e metafisica. Nativo di Poggio Renatico, esperto agronomo, era Carlo Pareschi, legato al mondo della cooperazione rurale e molto attivo nel rafforzamento della rete sindacale e consortile, diventato anch’egli poi Ministro dell’Agicoltura.
Un percorso tutto sindacale per Luciano Gottardi, di San Bartolomeo in Bosco, e per Annio
Bignardi, di Stellata di Bondeno. Entrambi giunti ai massimi vertici delle rispettive Confederazioni, il primo quella dei Lavoratori dell’Industria, il secondo dei Lavoratori dell’Agricoltura. Senza dimenticare che Bignardi fu anche Presidente della SPAL dal ’39 al ’41.
Non so se, come ebbe a dire Mussolini, Rosssoni e altri con lui pensassero veramente che, con quell’Ordine del Giorno, si rimettesse semplicemente il Comando delle Forze Armate nelle mani del Re, aggiungendo che, secondo lui, i più avevano partecipato alla seduta senza le idee chiare e senza rendersi conto della reale posta in gioco.
Per restare ai ferraresi, è possibile che Pareschi, Gottardi e Bignardi, che partecipavano per la prima volta al Gran Consiglio, il primo più tecnico prestato alla politica, gli altri due più uomini di apparato, si siano forse trovati spiazzati e quindi lasciati trascinare dalla veemenza verbale di Grandi.
Ma un uomo potente come Rossoni poteva non avere contezza di quanto stava accadendo? Forse non era coinvolto già dal ’39, ma è difficile pensare che sia stato del tutto ignaro di quello che da tempo stava maturando, e di cui sembra si parlasse anche in certi salotti ferraresi, dove, già dai primi momenti seguiti alla morte sospetta di Balbo, si metteva in discussione la politica del Duce sull’entrata in guerra e sull’andamento del conflitto.
Ma in verità l’unica certezza è che “Tutto quello che è accaduto doveva accadere….” e che Pareschi e Gottardi a Verona pagarono con la vita il “tradimento”.
Fiorenza Bignozzi