L'inverno del nostro scontento
22 Maggio 2024

Luca Casarini: Il sole, la pioggia e la Corte Penale Internazionale

di Girolamo De Michele | 5 min

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Questo testo è stato pubblicato dall’amico e compagno Luca Casarini, che ringrazio per il permesso di ripubblicazione, sulla sua pagina facebook il 21 maggio.

Cosa differenzia una persona che ordina e pianifica un attacco armato che provocherà la morte di donne, uomini e bambini innocenti, e un’altra che ordina un attacco armato per uccidere donne, uomini e bambini innocenti? Se uno lo fa in nome della ragion di Stato, e l’altro in nome di qualsiasi ragione, il risultato non cambia. Criminale uno, e criminale l’altro. Quando da questa parte del mondo, si sono definiti dei limiti a ciò che “si può o non si può fare”, qualsiasi siano le ragioni di chiunque, si immaginava di poter trasformare in fonte di legittimità e di autorevolezza , il rispetto delle norme assunte e sottoscritte in nome della “democrazia”. Su questo abbiamo costruito l’immaginario della stessa “civiltà democratica”, uscita vittoriosa nella guerra ai totalitarismi. Ma la storia ha insegnato, siamo stati pessimi allievi, che la guerra, sulla quale poggiavano anche le nuove fondamenta costruite sulle macerie della prima metà del novecento, non può essere né “democratica” né rispettosa dei limiti dell’orrore. La guerra, ha avuto un ruolo fondamentale, altro che ripudio. Abbiamo visto così crescere le idee aberranti di una “società senza conflitti”, che si poteva produrre solo facendo la guerra interna ai conflitti, e allo stesso tempo le idee del governo del mondo delle diseguaglianze e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, attraverso la guerra. Si può pensare che gli orrori , dopo averli compiuti, spariscano nell’oblio e cresca un mondo migliore? Si può pensare che tutto il sangue sparso basta lavarlo via?

Quando la ragione di Stato viene sbandierata come alibi per poter superare i limiti, allora la guerra si è già presa la democrazia e il controllo delle vite che in essa si trovano imprigionate. E la “resistenza”, quando non si pone anch’essa alcun limite “per ragioni più grandi”, non esprime altro che la sua subordinazione alla guerra, che impone un solo campo di battaglia, quello del nemico. È così che si può diventare anche peggio di chi si combatte, perché il problema è solo resistere un secondo più di lui. Trovo estremamente coerente che la morte di Raisi, il presidente ayatollah, chiamato “il macellaio” durante le impiccagioni in Iran del 79 e durante quelle di oggi, venga salutata da Hamas come “la morte di un martire, di un eroe”. Trovo coerente anche la reazione furibonda di Biden, contro la decisione della Corte Penale Internazionale, che ha emesso i mandati di arresto per Netanyahu e compari, insieme a quelli per Sinwar e compari: la storia del “governo del mondo” dopo la seconda guerra mondiale, è fatta di crimini contro l’umanità in nome della “democrazia”, mentre essa stessa moriva dall’interno, proprio per questo. Il veleno, se lo spargi dappertutto, alla fine avvelena anche te.

La guerra dunque, si prende la democrazia , e si prende anche la “liberazione”, propria di una idea di Resistenza che innanzitutto non è essere come chi combatti. La guerra, quella contemporanea, ha in mano il mondo, plasma economia, cultura e società. Il Leviatano adesso si muove da solo, nonostante i tentativi, ormai privi di fondamento, di fare credere che il “mostro” sia sotto il comando, il piano, il controllo di qualcuno. È la “tragedia dell’uomo democratico” quella che sta andando in scena a causa di una decisione di un giudice che semplicemente ha applicato la “legge dell’uomo democratico”. Andava bene, quel tribunale, quando condannava Mladic o condanna Putin, ma oggi no, non va più bene. Chi ci ha ripetuto all’infinito che la differenza fra i nostri sistemi e le dittature, stava proprio qui, nella “legge uguale per tutti”, nella legge che proviene dai valori, finanche “cristiani”, “fondamento della nostra democrazia”, dovrà adesso trovare nuovi alibi. Ma la guerra non aspetta loro, e sopravanza anche chi sta, irresponsabilmente e da sempre, dalla sua parte.

La guerra per questo si può definire come “guerra civile mondiale”, e non “di civiltà”, come vorrebbero le élites del nostro mondo, poiché essa non ha più alcuna relazione con una “civiltà” pregressa, capace di ordinarla e contenerne gli eccessi, e la muova, decidendone le caratteristiche e ne limiti il potere assoluto. Forse oggi, con l’epilogo di cui stiamo parlando, abbiamo più chiaro che questa di poter controllare la guerra, con costituzioni e dichiarazioni universali, agettivandola come giusta, santa o necessaria, è stata la più grande menzogna del nostro tempo.
E dunque, la decisione di un giudice può essere letta come una sentenza: “l’uomo democratico” è morto, sotto le macerie di Gaza, ed è morto anche il martire della Resistenza, perché è a un intero popolo, il proprio, che viene imposto il martirio, per decisioni prese altrove, magari a Teheran, e che nulla hanno a che fare con il bene di quel popolo.

La bussola che usavamo prima per orientarci nel mondo, è ormai inservibile. Si è compiuto un ciclo. Dobbiamo cercare il muschio sugli alberi, per capire dove sorge e tramonta il sole, quale è il nord o il sud. Dobbiamo di nuovo annusare l’aria, per sentire quando la pioggia sta arrivando. Dobbiamo saper guardare ad ogni innocente che viene ucciso dalla pianificazione della guerra, per quello che è: vittima di un crimine orrendo, inaccettabile, che non si può giustificare mai. Siamo in una jungla, nessuno si salverà da solo, e nessuno arriverà a salvarci se stiamo ad aspettare. Bisogna rimettersi in cammino, e la strada non è tracciata. Solo qualche sentiero, e il nostro desiderio di un mondo diverso, migliore.

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