Cronaca
18 Maggio 2024
Si tratta di uomini e donne provenienti da Marocco, Tunisia, Pakistan ed Europa dell'Est che, pagando un commercialista, erano riusciti a ottenere false dichiarazioni dei redditi utili a ottenere il rilascio oppure il rinnovo dei permessi

Contabilità ‘artefatta’ per avere permessi di soggiorno. Trenta stranieri nei guai

di Davide Soattin | 2 min

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È approdato ieri (venerdì 17 maggio) mattina, davanti al giudice Rosalba Cornacchia del tribunale di Ferrara, il processo che vede imputate trenta persone di nazionalità straniera con l’accusa di aver usufruito di falsi permessi di soggiorno per fatti avvenuti tra il 2014 e il 2019 e scoperchiati da una articolata inchiesta eseguita dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza.

Si tratta di uomini e donne provenienti da Marocco, Tunisia, Pakistan ed Europa dell’Est che, pagando un commercialista, la cui posizione è stata stralciata per essere giudicata in un altro procedimento, erano riusciti a ottenere false dichiarazioni dei redditi utili a ottenere il rilascio oppure il rinnovo dei permessi di soggiorno.

In aula, rispondendo alle domande del pm Andrea Maggioni, è stato sentito un operatore delle Fiamme Gialle che ha riferito sulle varie posizioni finite al centro del procedimento, confermando l’impianto accusatorio iniziale, che è stato possibile costruire dopo le diverse segnalazioni di natura amministrativa pervenute dall’Ufficio Immigrazione della Questura del capoluogo estense, destinataria di numerose domande per il rinnovo dei permessi di soggiorno da parte di persone di nazionalità straniera residenti nella provincia ferrarese.

L’ipotesi investigativa sottoposta alla Procura di Ferrara era quella di un’attribuzione solo formale della partita iva da parte del commercialista per i suoi clienti, poiché quest’ultimi di fatto non avevano mai avviato alcuna attività di natura imprenditoriale: le attività dichiarate, necessarie per istruire le pratiche di rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, erano finalizzate a dimostrare che i soggetti possedevano il requisito del reddito sociale superiore alla soglia minima e che fossero operanti nella attività più svariate, dal commercio al dettaglio e all’ingrosso, alle attività di tipo artigianale o manifatturiere.

Per gli inquirenti, così come emerso dall’udienza di ieri, nessuno dei neo imprenditori individuati ha mai avuto una sede effettiva, attrezzature, macchinari, capannoni, dipendenti, né rapporti con clienti e fornitori. Eppure a chiusura dell’anno fiscale, i consulenti compiacenti provvedevano a inserire nelle dichiarazioni presentate telematicamente al fisco per i loro clienti, i dati “artefatti” di una contabilità inesistente: dal fatturato alle spese, comprese quelle per l’eventuale personale dipendente.

Durante l’udienza preliminare, sette posizioni erano state chiuse per intervenuta prescrizione, mentre uno degli imputati aveva scelto di patteggiare.

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