Cronaca
16 Maggio 2024
La Corte d'Assise del tribunale di Ferrara ha condannato la 31enne ferrarese Amanda Guidi. I suoi legali difensori promettono battaglia in Appello: "Alcuni dubbi da chiarire, a partire dalla volontarietà dell'azione omicidiaria"

Soffocò il figlioletto di un anno. Ventidue anni per la mamma

di Davide Soattin | 4 min

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Arriva una condanna per Amanda Guidi, la 31enne ferrarese accusata di omicidio volontario aggravato per aver soffocato e ucciso, nella nottata del 17 giugno 2021, all’interno della loro casa di via degli Ostaggi, il figlioletto di appena un anno che stava dormendo nel letto insieme a lei.

La Corte d’Assise del tribunale di Ferrara infatti, presieduta dal giudice Piera Tassoni, concedendole le attenuanti generiche, le ha inflitto ventidue anni di pena – uno in più rispetto a quanto chiesto dalla Procura – che sconterà nella struttura in cui è oggi ricoverata.

La donna è stata inoltre interdetta a vita dai pubblici uffici e sospesa, per tutta la durata della pena da scontare, dalla responsabilità genitoriale. Dovrà inoltre versare una provvisionale di 30mila euro al suo ex compagno e padre del bambino, costituitosi parte civile tramite l’avvocato Alessandro Gabellone.

La sentenza è arrivata nel primo pomeriggio di giovedì 16 maggio.

In aula, durante la propria requisitoria, affrontando i temi già indagati nella perizia dello psichiatra Renato Ariatti e dello psicologo Marco Samory, il pm Ciro Alberto Savino ha illustrato i motivi per cui l’imputata avrebbe dovuto rispondere di quanto accaduto.

Secondo il pubblico ministero infatti, relativamente alle difficoltà nel ricordare agli inquirenti il modo in cui è avvenuta la morte del piccolo, la donna avrebbe “mentito e simulato” poiché “lucida, consapevole, capace di intendere il proprio agire e di volere, anche se comunque portatrice di un disturbo”.

Il pm Savino non ha mancato poi di sottolineare l’uso di alcool e cocaina da parte dell’imputata nel momento dell’omicidio e negli otto mesi precedenti, tanto da arrivare a “imbottiretramite l’allattamento anche il figlioletto, come evidenziato dagli esami autoptici eseguiti per far luce sulle cause della morte.

“Una tragedia incomprensibile, una tragedia umana totale che trova radici in una storia umana e personale pazzesca” ha definito, invece, quanto accaduto, l’avvocato Marcello Rambaldi, difensore della donna insieme al collega Alessio Lambertini.

La difesa ha chiesto ai giudici di valutare il vissuto della donna – costellato anche di plurimi tentativi di suicidio – e posto dubbi sulla effettiva volontarietà del soffocamento: non erano presenti lesioni visibili esteriormente e lei si era lamentata con la madre che non riusciva a dormire perché il bimbo piangeva sempre.

“La mia assistita – ha proseguito Rambaldi – è una persona psichiatrica affetta da un grave disturbo borderline, una persona ammalata per cui occorre un trattamento. Ha vissuto una vita drammatica che ha avuto come risultato una patologia grave, tant’è che da quel giorno non è mai stata in carcere, ma sempre in una struttura psichiatrica”.

I fatti al centro del procedimento risalgono al 17 giugno 2021 quando, intorno alle 6 del mattino, la donna aveva allertato i carabinieri perché andassero nella sua casa, in via degli Ostaggi, dove una volta arrivati sul posto, i militari la trovarono in stato di shock e sanguinante.

Per la disperazione, infatti, si era da poco tagliata i polsi e agli uomini dell’Arma aveva ripetuto di aver ucciso lei il suo bambino e di volerla fare finita. Il piccolo si trovava sdraiato nel lettone dove aveva passato la notte insieme alla madre, immobile.

I sanitari del 118 provarono a rianimarlo per quasi 45 minuti, ma non ci riuscirono.

In casa con loro c’erano anche gli altri due figli, di 5 e 9 anni, che vennero poi affidati alla nonna, accorsa in via degli Ostaggi dopo essere stata avvisata con un messaggio via WhatsApp.

Poco prima, la donna – con un passato problematico con l’uso di stupefacenti e che i vicini raccontarono fosse parecchio agitata anche nei giorni precedenti – aveva cercato di aggredire i carabinieri, che con molta difficoltà e con l’aiuto dei colleghi della polizia di Stato riuscirono a bloccarla e accompagnarla all’ospedale di Cona per le medicazioni e l’assistenza psicologica del caso.

Il padre, un 38enne tunisino che da circa un mese aveva lasciato la casa familiare dopo alcune incomprensioni con la compagna, arrivò quando già il 118 aveva constatato che per il bimbo non c’era nulla da fare. Furono i carabinieri a informarlo della morte del figlio.

Nei mesi successivi al tragico fatto, poi, l’autopsia disposta dal pm di turno sul corpo del bambino aveva constatato come il decesso del piccolo fosse avvenuto per soffocamento da mezzo soffice, con la madre che sin dal primo momento era risultata essere la sola e unica indagata per il tragico evento.

“Siamo curiosi di conoscere le motivazioni della sentenza – hanno affermato Rambaldi e Lambertini all’uscita dall’aula – ma già da ora possiamo dire che faremo sicuramente appello. Alla Corte oggi abbiamo provato a proporre una valutazione dei fatti che potesse tenere conto della personalità e della storia della nostra assistita, oltre che della perizia psichiatrica sul suo conto. Siamo solo al primo di tre gradi di giudizio e già in Appello ci saranno alcuni dubbi che vogliamo chiarire, a partire dalla volontarietà dell’azione omicidiaria“.

Le motivazioni della sentenza sono attese entro 90 giorni.

 

 

 

 

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