Cronaca
2 Aprile 2024
I giudici costituzionali non hanno accolto la questione sulla "pena naturale". Proseguono i procedimenti per la mamma del bimbo annegato a Bosco Mesola e per il padre del ragazzino morto nell'incidente stradale a Corporeno

Imputati per la morte dei figli, la Corte dice sì ai processi

di Redazione | 2 min

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I processi per omicidio colposo alla madre di Maxsimiliano Grandi, il bambino di 5 anni annegato nella piscina dell’agriturismo Ca’ Laura, a Bosco Mesola, il 12 luglio 2020, e al padre di Marco Lelli Ricci, il 15enne morto in un incidente stradale il 3 aprile 2022 in via Nuova a Corporeno, si faranno.

La Corte Costituzionale non ha infatti accolto la questione sulla “pena naturale“, ovvero sulla non procedibilità nei confronti di chi, per colpa, ha cagionato la morte di un prossimo congiunto e ha già patito una sofferenza considerata proporzionata al reato commesso.

Nei mesi scorsi, i legali difensori della madre di Grandi e del padre di Lelli Ricci avevano infatti chiesto ai giudici di attendere il pronunciamento dei giudici romani, riuscendo a ottenere rinvii abbastanza lunghi delle rispettive udienze, ma nei giorni scorsi la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal tribunale di Firenze nei confronti dell’art. 529 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un’ipotesi di non procedibilità riguardo all’omicidio colposo del prossimo congiunto.

Il giudice Franco Attinà del tribunale fiorentino infatti, chiamato a giudicare l’imputazione per omicidio colposo con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro di uno zio per la morte del nipote suo dipendente, il tribunale aveva denunciato la violazione dei principi costituzionali di necessità, proporzionalità e umanità della pena, non prevedendo la norma censurata che il giudice possa emettere sentenza di non doversi procedere quando l’autore del reato abbia patito, per la morte del familiare da lui stesso causata, una sofferenza, una pena naturale appunto, tale da rendere inutile ogni ulteriore sanzione.

Dopo aver sottolineato che l’istituto della pena naturale, pur noto in alcuni ordinamenti europei, non appartiene alla tradizione normativa italiana, la Corte ha però escluso la sussistenza di un vincolo costituzionale che ne esiga
l’introduzione in conformità alla richiesta del Tribunale di Firenze.

Infatti, questa si rivela eccessivamente ampia “sotto tre distinti aspetti, ognuno dei quali sufficiente ad inficiarne la fondatezza”. In primo luogo, nel riferimento generico alla colpa, senza alcuna distinzione tra le sue varie declinazioni, che “possono viceversa corrispondere a ipotesi molto diverse tra loro sotto il profilo criminologico e della protezione dei beni”. Inoltre, per il rimando alla troppo larga nozione di prossimo congiunto, che, secondo la definizione dell’art. 307 del codice penale, “si estende ben oltre la famiglia nucleare“. Infine, per l’oggetto stesso dell’addizione, poiché “non vi sono ragioni costituzionali in base alle quali la pena naturale da omicidio colposo del prossimo congiunto debba integrare una causa di non procedibilità, anziché, in thesi, un’esimente di carattere sostanziale, ovvero ancora una circostanza attenuante soggettiva”.

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