Salute
17 Marzo 2024
Lo accerta il modello GiviTI. Il professor Carlo Alberto Volta: "Nel 2023 abbiamo ricoverato 350 pazienti e abbiamo osservato una mortalità molto inferiore rispetto a quella attesa: precisamente abbiamo 'salvato' 21 pazienti in più rispetto a quelli che ci si sarebbe potuti aspettare"

La terapia intensiva universitaria del Sant’Anna tra le migliori italiane

di Redazione | 3 min

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Esistono modelli di analisi in grado di accertare quanti pazienti vengono “salvati” rispetto ad una previsione iniziale di “mortalità attesa”.

Secondo i dati stilati da poco, la terapia intensiva (TI) universitaria del Sant’Anna – diretta dal professor Carlo Alberto Volta – ha migliorato i già positivi risultati dello scorso anno, presentando una mortalità osservata inferiore a quella attesa.

Questo dato è possibile visualizzarlo grazie al grafico Vlad (Variable Life-Adjusted Display) che permette di visualizzare l’andamento della mortalità osservata rispetto a quanto predetto (modello di previsione: GiviTI 2022).

“Questo dato – spiega il professor Volta – è basato essenzialmente sul rapporto tra le morti attese, in base ad alcuni indicatori di gravità, e quelle realmente osservate. Gli indicatori sono riconosciuti a livello internazionale e servono anche per il confronto tra le varie Terapie Intensive. Inoltre valutano la qualità dell’assistenza e delle infezioni correlate ad essa. La nostra TI fa parte di una rete di reparti dislocati in tutta Italia, le cui fila vengono tenute dall’Istituto Irccs Mario Negri di Milano denominato GiViTI (Gruppo Italiano per la Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva). Nel 2023 abbiamo ricoverato 350 pazienti e abbiamo osservato una mortalità molto inferiore rispetto a quella attesa: precisamente abbiamo “salvato” 21 pazienti in più rispetto a quelli che ci si sarebbe potuti aspettare, considerando il modello GiViTI. Questo risultato ci colloca tra le migliori terapie intensive italiane”.

I professionisti della TI di Cona immettono, ogni giorno, in uno specifico database, i dati clinici dei pazienti necessari alla valutazione di questo trend. Per i pazienti più critici esistono dei “predittori di mortalità”, ovvero elementi pubblicati in letteratura che mettono in relazione le condizioni di salute del paziente, assegnandogli un determinato valore: più alto è questo numero, più alta è la mortalità. Sulla base della gravità di ingresso dei pazienti si ha dunque quella che viene definita “mortalità attesa”. Le terapie intensive vengono valutate sulla mortalità osservata rispetto a quella realmente attesa: se la mortalità osservata è più alta di quella attesa muoiono più pazienti, se la mortalità osservata è più bassa di quella attesa vengono salvati più pazienti.

Alla fine di ogni anno il GiViTI restituisce un indice di performance, dal quale si evidenziano questi dati.

“Ci si potrebbe aspettare – conclude il professor Volta – che i pazienti siano stati meno gravi all’ammissione: in realtà lo erano di più. Infatti l’indice prognostico utilizzato per il calcolo della mortalità attesa, denominato Saps2 (Simplified Acute Physiology Score), comprende una serie di parametri e dati di laboratorio nelle prime 24 ore di degenza: più è alto più rispecchia la gravità del paziente all’ingresso in terapia intensiva (la media nazionale è 36, i pazienti della TI di Cona si attestano su un valore di 40). Questo perché dall’analisi dei dati complessivi del nostro reparto emerge come significativa la minor incidenza di infezioni insorte durante la degenza, correlate alla ventilazione meccanica, alla presenza di cateteri vascolari o urinari”.

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