“Si è deciso – risponde – che le vite degli uomini dovessero rappresentare il percorso di tutto il genere umano, e così non sappiamo nulla di come vivesse l’altra metà del mondo”. Una donna persiana saluta nella sua lingua orgogliosa che “dustan” (la parola farsi per dire ciao riportata da chi scrive per come l’ha ascoltata) sia una parola neutra. “Sono fiera della mia lingua persiana che non ha la declinazione maschile o femminile”. Ricorda che le donne in Iran “stanno ancora lottando”, lo fanno dall’arrivo di Khomeyni, lo facevano prima e lo fanno oggi, sorelle e “vicine a tutte le donne” siano esse “ucraine o russe, palestinesi o italiane”.
Tra i presenti numerose sono anche le bandiere palestinesi per ricordare il dramma che sta vivendo la popolazione. Non a caso la candidata sindaca Anna Zonari, presente, nel suo intervento pone l’accento sul concetto di intersezionalità. “Credo – dice – che abbiamo bisogno di pratiche di interaezionalità” e che questa sia “la chiave di interpretazione attraverso cui possiamo cogliere le gravi ingiustizie”. Un concetto che “ci può interpellare nel profondo perché ci invita a riconoscere le differenze e imparare a costruire ponti”.
Lo ricorda bene una donna raccontando delle code al bagno con gli uomini a sogghignare per le code che si creano. “Si tende – dice – a dare la colpa alla fisionomia delle donne, al fatto che entriamo in gruppo, che ci perdiamo dentro. E se fossero problemi di stili di progettazione a misura di maschio?”
“La divisione 50/50 dei bagni – spiega – non tiene conto della vita della donna: la donna ci può mettere anche il doppio del tempo di un uomo in bagno. Basti pensare al cambiare un assorbente. Più fila”. Non si considera mai che “sono in prevalenza le donne ad andare in bagno in compagnia di un bambino o un disabile. Ancora più fila”. E “la gravidanza? sempre in bagno, quanta fila”. “Una progettazione urbana che non mette al sicuro le donne – aggiunge – equivale a una dichiarazione di impedimento a farci vivere il nostro diritto di frequentare gli spazi pubblici. Il famoso maschile predominante. Spazio a misura di maschio mascherato da spazio paritario”.
E allora, “se davvero vogliamo che gli spazi pubblici siano di tutti dobbiamo iniziare a considerare questa metà di mondo, dobbiamo ridurre questo data gap. L’accesso al bagno, lo spostarci e il vivere a pieno gli spazi aperti di socializzazione fanno parte del vivere lo spazio pubblico, e al momento ne siamo fuori. La soluzione a questo vuoto di dati è il colmare un divario di rappresentanza”.