Attualità
9 Marzo 2024
Un corteo transfemminista per le strade di Ferrara. Un corteo per gridare alla città che "il sistema criminale è quello patriarcale"

L’otto marzo “non è festa, è lotta”

(Foto di Riccardo Giori)
di Pietro Perelli | 4 min

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Un corteo transfemminista per le strade di Ferrara. Un corteo di lotta non di festa. Un corteo per gridare alla città che “il sistema criminale è quello patriarcale”, che serve una parità di diritti oltre che economica se si vogliono cambiare le cose. Un corteo per dire che il capitalismo è parte del problema con gli sconti sulle cene o sulle creme. “Parlano di oggi – dice Anita – come di un giorno di festa. Nei supermercati, nelle profumerie ci sono gli sconti, le promozioni, i regali, le raccolte punti. Gli amici, i partner, i familiari e perfino gli sconosciuti ci fanno gli auguri”. Ma oggi “non è festa, è lotta, è rabbia è rivoluzione. Non solo oggi, ma tutti i giorni”.

Sono partiti da piazza Savonarola per arrivare in piazza Ariostea passando per corso Giovecca e via Montebello. Erano almeno in duecento, forse qualcuno penserà non tantissimi, ma erano colorati e si facevano sentire. “Non c’è spazio per me – dice una ragazza – quando una giornata di lotta e rivendicazione come questa viene ridotta a una simpatica festicciola, a ben 3 nuovi gusti di gelato, o a uno sconto del 30% su una crema per il viso. Grazie, ma non ho niente di cui festeggiare e dei vostri regali non me ne faccio nulla”.

“Protagora – racconta un’altra ragazza al microfono – ci diceva che l’uomo è metro e misura del mondo, e io di questo sono profondamente convinta. E ve lo dico con l’amaro in bocca e con il cuore stracolmo di rabbia, che nella definizione delle cristallizzate leggi che governano questo universo noi non siamo nemmeno lontanamente contemplate”. E così un’altra voce ricorda che la prevalenza del maschile ove non altrimenti indicato è entrato a pieno nel linguaggio” mentre, si domanda, “la parola ‘uomo’ fa pensare all’umanità intera o alla persona maschio?”

“Si è deciso – risponde – che le vite degli uomini dovessero rappresentare il percorso di tutto il genere umano, e così non sappiamo nulla di come vivesse l’altra metà del mondo”. Una donna persiana saluta nella sua lingua orgogliosa che “dustan” (la parola farsi per dire ciao riportata da chi scrive per come l’ha ascoltata) sia una parola neutra. “Sono fiera della mia lingua persiana che non ha la declinazione maschile o femminile”. Ricorda che le donne in Iran “stanno ancora lottando”, lo fanno dall’arrivo di Khomeyni, lo facevano prima e lo fanno oggi, sorelle e “vicine a tutte le donne” siano esse “ucraine o russe, palestinesi o italiane”.

Tra i presenti numerose sono anche le bandiere palestinesi per ricordare il dramma che sta vivendo la popolazione. Non a caso la candidata sindaca Anna Zonari, presente, nel suo intervento pone l’accento sul concetto di intersezionalità. “Credo – dice – che abbiamo bisogno di pratiche di interaezionalità” e che questa sia “la chiave di interpretazione attraverso cui possiamo cogliere le gravi ingiustizie”. Un concetto che “ci può interpellare nel profondo perché ci invita a riconoscere le differenze e imparare a costruire ponti”. 

Lo ricorda bene una donna raccontando delle code al bagno con gli uomini a sogghignare per le code che si creano. “Si tende – dice – a dare la colpa alla fisionomia delle donne, al fatto che entriamo in gruppo, che ci perdiamo dentro. E se fossero problemi di stili di progettazione a misura di maschio?”

“La divisione 50/50 dei bagni – spiega – non tiene conto della vita della donna: la donna ci può mettere anche il doppio del tempo di un uomo in bagno. Basti pensare al cambiare un assorbente. Più fila”. Non si considera mai che “sono in prevalenza le donne ad andare in bagno in compagnia di un bambino o un disabile. Ancora più fila”. E “la gravidanza? sempre in bagno, quanta fila”. “Una progettazione urbana che non mette al sicuro le donne – aggiunge – equivale a una dichiarazione di impedimento a farci vivere il nostro diritto di frequentare gli spazi pubblici. Il famoso maschile predominante. Spazio a misura di maschio mascherato da spazio paritario”.

E allora, “se davvero vogliamo che gli spazi pubblici siano di tutti dobbiamo iniziare a considerare questa metà di mondo, dobbiamo ridurre questo data gap. L’accesso al bagno, lo spostarci e il vivere a pieno gli spazi aperti di socializzazione fanno parte del vivere lo spazio pubblico, e al momento ne siamo fuori. La soluzione a questo vuoto di dati è il colmare un divario di rappresentanza”.

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