Gentile direttore,
l’Italia è un paese strano.
L’evasione fiscale è stimata da tutti i più autorevoli Centri Studi in circa 100 miliardi di euro all’anno – comprensivi di imposte dirette, IVA, contributi non versati, ecc. -; si valuta che mediamente il 70% del reddito di un lavoratore autonomo non sia dichiarato con un’evasione annua della categoria di circa 30 miliardi di euro; il prelievo fiscale per circa l’80% è versato da lavoratori dipendenti e pensionati, mentre circa il 12% del gettito arriva da imprenditori, lavoratori autonomi e professionisti; il 44% dei contribuenti versa il 93% dell’IRPEF, il restante 56% contribuisce per il 7%; in base alle dichiarazioni dei redditi presentate, emergerebbe che oltre il 45% della popolazione non ha redditi, ed ancora, chi dichiara oltre i 50.000 euro di reddito non raggiunge neanche il 5% della popolazione.
E si potrebbe continuare, ma i numeri nella sostanza sono questi.
Se questa fosse una fotografia reale, “l’Italia sarebbe un Paese di poveri”, ma i dati relativi ai patrimoni mobiliari ed immobiliari, all’immatricolazione di autoveicoli di grossa cilindrata/lusso, alle immatricolazioni di imbarcazioni, ecc., ci descrivono tuttavia una realtà ben diversa.
In questo contesto, in un paese “normale”, ci si aspetterebbe che l’azione di governo sia diretta a ristabilire l’equità fiscale, a riequilibrare le entrate fiscali tra categorie di lavoratori e fasce di reddito, e a recuperare l’evasione.
Ma non è quello che succede in Italia.
C’è una forte e falsa retorica secondo cui la colpa dell’evasione non è di chi evade ma è del fisco “ingiusto”, del fisco “oppressivo”, che “tartassa” il contribuente e lo “induce” suo malgrado a evadere il pagamento delle imposte – e da cui nascerebbe la necessità di un cosi detto fisco “amico” -.
Ne sono esempi le discussioni e proposte di questi ultimi mesi su flat tax, concordato preventivo, rivalutazione del magazzino, condoni e sanatorie varie.
Flat tax. Il regime forfettario della flat tax prevede un’aliquota “piatta” e uguale per tutti i contribuenti, indipendentemente dal livello del reddito. E’ un’imposta ingiusta e non è vero che ne guadagnerebbero tutti.
Con l’aliquota unica (anche con il sistema incrementale) ci sarebbe una compressione/appiattimento del prelievo. Non bisogna essere degli esperti per capire che a beneficiarne sarebbero i redditi medio alti a discapito dei redditi più bassi – che neanche l’applicazione di detrazioni per i redditi più bassi riequilibrerebbe -.
Il concordato preventivo dovrebbe entrare in vigore entro fine 2024 e prevede che l’Agenzia delle Entrate proponga per alcune fasce di lavoratori autonomi e piccole medie imprese – comprese quelle “inaffidabili” in base agli indicatori ISA – di pagare le imposte a forfait su un reddito presunto, bloccato per 2 anni ed esente da accertamenti, con la garanzia che se anche i ricavi saranno maggiori fino ad un massimo del 30% di quanto concordato, non si dovrà comunque versare niente in più.
La rivalutazione del magazzino. Nell’ultima manovra c’è anche la possibilità di “regolarizzare” in bilancio le rimanenze – cfr. fare emergere acquisti di magazzino in “nero” e non contabilizzati -. Per mettersi in regola basterà regolarizzare l’IVA e pagare un’imposta sostitutiva del 18%. Nei fatti è un condono.
Condoni fiscali. Basta con i condoni.
Sono una presa in giro, non si capisce o si fa finta di non capire che sono ingiusti nei confronti di chi le imposte le ha sempre pagate, e rappresentano un disincentivo a pagare se c’è la consapevolezza che prima o poi ne arriverà uno.
Anche sotto l’aspetto economico è ormai dimostrato che il gettito fiscale reale è sempre inferiore alle aspettative. Nelle ultime 4 rottamazioni – governi Renzi, Gentiloni, Conte e Meloni – su circa 65 miliardi di cartelle ne sono stati incassati circa 25 miliardi. Per la Corte dei Conti «Più i contribuenti sono consapevoli di una sostanziale impunità, più si allarga la platea degli evasori».
C’è chi sostiene che ci sono imprenditori che non hanno versato le imposte/contributi non per la volontà di evadere ma per impreviste difficoltà finanziarie. Il condono rappresenterebbe quindi un “modo per aiutare” questi imprenditori in difficoltà.
Ma è una tesi che non convince. Il condono non è lo strumento giusto.
Gli imprenditori in difficoltà, così come altre categorie e soggetti, devono essere aiutati, verificando le singole posizioni, ma affinando ed applicando strumenti che già esistono.
La certezza del diritto e delle regole risponde a criteri di giustizia ed equità, ed è un elemento portante di ogni democrazia.
L’idea di fondo di tutti questi provvedimenti è chiara e dichiarata: le imposte sono un pizzo di stato, per cui non pagarle non è un reato ma “quasi” un diritto.
Ad esserne danneggiati, oltre ai pensionati ed i lavoratori dipendenti, sono le le partite IVA, i lavoratori autonomi e gli imprenditori, ecc., che rispettano le norme e pagano regolarmente le imposte – e quindi la sanità, l’istruzione, la sicurezza, ecc. anche per chi evade -.
Colpisce la consapevolezza di tanti di questi professionisti ed imprenditori di essere penalizzati nei confronti dei loro “colleghi” che evadendo le imposte falsano il mercato con una “concorrenza sleale” – non pagando le imposte hanno margini maggiori e la possibilità di applicare prezzi più bassi – .
La fatturazione elettronica, l’obbligo dello scontrino fiscale e la tracciabilità dei pagamenti, sono provvedimenti importanti e che vanno nella direzione giusta.
Ma serve poi la semplificazione con il riordino delle norme; si devono abbassare le aliquote e la pressione fiscale complessiva (rapporto tra entrate fiscali e P.I.L. superiore al 47% nel 2023), insieme all’ampliamento della base imponibile da farsi attraverso il contrasto all’evasione fiscale, utilizzando strumenti e banche dati che in gran parte oggi già esistono e sono a disposizione dell’Agenzia delle Entrate.
Per ridurre le imposte per le fasce di reddito più basse, si aumenti la no tax area e si mantenga la progressività delle aliquote.
L’ampliamento della tassazione cedolare (flat tax del 15% per gli autonomi fino a 85000 euro, la cedolare secca del 21% o del 10% per gli affitti, il 26% sulle rendite finanziarie /12,50% per i titoli di stato) e dei bonus, in tanti casi sta infatti riducendo la reale progressività del prelievo.
Così come serve ridurre le imposte che gravano sul lavoro – tra le più alte in Europa -, ed il riequilibrio con quelle sulle rendite finanziarie che godono mediamente di aliquote più basse – inferiori alla media europea e considerate di favore dagli stessi operatori del settore -.
Altri interventi sarebbero necessari, basti pensare all’iniquità e all’evasione dell’IVA, all’elusione fiscale, e ai paradisi fiscali presenti anche in Europa – in quest’ultimo caso si stima un evasione annua di circa 10 miliardi -, ed altri ancora.
E’ questione di volontà politica.
Francesco Vigorelli