Politica
24 Febbraio 2024
Il vescovo Perego apre alla Città 30: "I danni più grossi che ha subito il duomo non sono dovuti il terremoto, ma allo smog, che aggredisce quotidianamente uno dei nostri patrimoni storici"

Ferrara è una città ostile ai giovani

di Redazione | 5 min

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La crisi della felicità è uno dei tanti problemi, come la disoccupazione, l’abbandono del territorio dei giovani e l’aumento dell’età media, che conta la città di Ferrara. Partendo dalla domanda “Ferrara è una città felice?”, il gruppo “Finalmente 2024” insieme al professor Stefano Bartolini, politologo e professore all’istituto europeo di Firenze, e monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara, ha cercato di sviscerare i motivi perché la nostra è una città infelice.

A presentare il dialogo è Claudia Zamorani, portavoce del gruppo organizzatore dell’incontro, che ha proposto come fulcro della discussione proprio il capoluogo estense, “i cui indicatori economici e della qualità della vita non sono positivi, dato che l’età media avanza, i giovani vanno via, l’economia rallenta e la cultura fatica”.

“La felicità è un tema importante: come si può declinare in chiave politica?” è il primo quesito proposto a Bartolini. Una domanda alla quale il politologo ha risposto che “la felicità è una scienza misurabile, quantitativa. Cosa rende felici? Condividere, i soldi hanno un impatto molto limitato, le vere chiavi sono le relazioni”. Non è chi è povero a stare male, ma le persone sole, “la vera povertà è quella di relazioni. Il contesto sociale ne è la base – continua Bartolini, focalizzandosi sulle città – e sin da quando sono state create le città 5mila anni fa il focus è sempre stata la relazione tra individui quindi i luoghi di comunità. Adesso le auto hanno peggiorato questo sistema primitivo, dato che inquinano, rendono l’ambiente meno accogliente e le persone non stanno più insieme: questo porta alla solitudine urbana”.

Si tratta di un problema che nasce alle basi della vita di un cittadino, in famiglia, dato che “le generazioni ora crescono in casa da sole, non vedendo il mondo reale ma filtrato dagli schermi, per cui si arriva alla maggiore età con un’esperienza relazionale e un’intelligenza emotiva poverissima”. Portando l’esempio di città come Copenaghen, Bartolini ha evidenziato come si tratti una città priva di auto, ricca di giardini, definendola una “città del quarto d’ora, cioè dove ti è permesso arrivare dovunque nel giro di quindici minuti: le città italiane sono invece completamente consegnate al traffico, creano stress e non sono aggreganti”.

Riferendosi invece al discorso scolastico, ha aggiunto che “la scuola sviluppa esclusivamente la competizione e la suddivisione della società in gerarchie: deve diventare il luogo per eccellenza di congregazione, non deve essere solo immagazzinamento. Un ambiente positivo favorisce l’apprendimento, anzi, lo rende migliore rispetto a uno studio stressante e non stimolante”.

Perego si è invece soffermato su un’altra questione: quale potrebbe essere il modello di accoglienza maggiormente fruttifero in una comunità, in particolare per una città come Ferrara? Portando l’esempio di San Francesco, che durante le crociate incontrò il sultano, l’arcivescovo ha spiegato che “la pace e la relazione costruisce il benessere di una realtà. La felicità si trova negli ambienti dove le risorse sono utilizzate per distruggere le disuguaglianze e creare beni fondamentali che permettano alle persone di vivere meglio. Nell’ultimo anno sono stati spesi 2.247 miliardi in armi, e se questa cifra fosse stata investita nel benessere delle persone?”. Tornando a parlare delle città, monsignor Perego ha ribadito come “devono essere costruite prima le relazioni che le città, e queste devono essere dotate di ospedali nel centro, dato che si tratta di un ambiente che nasce proprio per far stare bene le persone”.

Riferendosi più direttamente alla città di Ferrara e alla sua situazione ecologica, Perego si è espresso favorevole ad una potenziale Città 30, “dato che i danni più grossi che ha subito il duomo non sono dovuti al terremoto, ma allo smog, che aggredisce quotidianamente uno dei nostri patrimoni storici. Le frazioni vanno coinvolte, valorizzate, dato che possiedono tanti elementi di valore che spesso sono ignorati” ha aggiunto. Parlando più propriamente dei giovani, l’arcivescovo ha sottolineato come si riducono sempre di più i luoghi adatti al loro incontro, “e perdendo questo si va a togliere alla città una grande opportunità sul futuro: ci devono essere più posti in cui vedersi, viversi, parlare, non limitarsi ad andare al bar, ma fare attività costruttive come parlare, dipingere, suonare”.

Portando l’esempio della legge Merlin, che ha chiuso le case chiuse, o di Basaglia, che ha portato fuori dai manicomi i pazienti psichiatrici, “ora sono i migranti ad essere chiusi fuori dalle città perché sono visti fuori dal nostro contesto: è saltato un meccanismo fondamentale – spiega l’arcivescovo – perché le capacità delle persone devono essere potenziate, non eliminate a prescindere. La città non può essere un ambiente diseguale, dove vanno favoriti importanti progetti di comunità e non i Cpr. La stampa non aiuta, perché spesso dipinge i migranti come criminali, fomentando la paura nei confronti di queste persone, creando insicurezza nelle relazioni, facendoci così dimenticare del patrimonio di esperienze che persone provenienti da altre realtà possono portare”.

Concludendo il dibattito, alla domanda se la politica possa avere interesse ad accrescere l’infelicità delle persone, Bartolini ha risposto chiaramente: “No. Per il mondo politico l’infelicità è un problema perché genera cambiamento. L’insoddisfazione crea instabilità, come si vede chiaramente nella politica italiana, e non è quello che ricerca la politica. L’interesse a creare il malessere nasce dalle imprese, che per vendere i propri prodotti fomentano l’insoddisfazione attraverso le pubblicità, che fanno sentire il pubblico inadeguato”. Ci sono alternative dal basso? “L’Italia è un paese con tante iniziative, il vero difetto è che sono slegate, isolate l’una dall’altra, per cui la prima cosa da fare è creare una rete tra associazioni” termina Bartolini.

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