Ieri (14 febbraio) nuova udienza del processo a carico dei due agenti di polizia penitenziaria (un terzo è già stato condannato in abbreviato, ndr) accusati di aver torturato un detenuto nel carcere di Ferrara.
I fatti sarebbero risalenti al 30 settembre 2017 e sarebbero avvenuti all’interno della cella numero 2. Protagonisti il sovrintendente Geremia Casullo, l’assistente capo Massimo Vertuani e il carcerato Antonio Colopi, che sarebbe stato pestato malamente durante una perquisizione che, secondo la Procura, fu eseguita arbitrariamente.
A testimoniare in aula è stato il medico legale Rosa Maria Gaudio, perito nominato dal collegio del tribunale per valutare se le lesioni sul corpo del detenuto fossero o meno compatibili con un pestaggio.
Durante la propria deposizione, la direttrice dell’unità operativa di Gestione del Rischio Clinico di Ausl Ferrara e Sant’Anna di Cona si è soffermata sulle lesioni riscontrate, sottolineando la loro incompatibilità con un ferro di battitura (che serve per controllare le inferriate) con cui invece la presunta vittima diceva – in fase di denuncia – di essere stato colpito. Diversamente, secondo il perito, è ipotizzabile che abbia ricevuto alcuni colpi con “qualcosa di meno rigido, un corpo flessibile in azione dinamica” forse a seguito della colluttazione con gli agenti.
Il detenuto aveva inoltre riferito agli inquirenti di essere stato inginocchiato e ammanettato al letto, prima di essere colpito. Una circostanza, questa, su cui il perito ha sollevato altri dubbi circa la compatibilità delle ferite da lui riportate. Dubbi anche sulla datazione delle lesioni. “Non si può escludere – ha affermato Gaudio – che siano retrodatabili al 30 settembre” dal momento che, appena due giorni prima, il 28 settembre, Colopi alcuni era stato denunciato per danneggiamenti e resistenza per cui si era procurato alcune escoriazioni.
Il fatto – come si diceva in precedenza – è avvenuto il 30 settembre del 2017, nella cella in cui Colopi era in isolamento. Quel giorno tre poliziotti penitenziari lo avrebbero pestato malamente durante una perquisizione. Nel dettaglio, Casullo (difeso dall’avvocato Alberto Bova) sarebbe stato il primo a entrare nella cella, mentre gli altri facevano da palo. Qui, dopo aver fatto togliere la maglia e la canottiera al detenuto, lo avrebbe fatto inginocchiare per poi sferrargli dei calci allo stomaco. Poi gli avrebbe fatto togliere pantaloni, scarpe e calze, lo avrebbe ammanettato e gli avrebbe dato altri calci e pugni allo stomaco, alle spalle e al volto. Secondo la ricostruzione avanzata dalla pubblica accusa, il sovrintendente avrebbe anche usato il ferro di battitura (che serve per controllare le inferriate) per colpirlo alle spalle, gambe, nuca e viso.
Colopi a questo punto avrebbe reagito, dando una testata a Casullo, rompendogli gli occhiali. Per questo sarebbe stato minacciato e colpito ancora, fino a rompergli l’incisivo superiore. La vittima avrebbe invocato, urlando, l’intervento del comandate del reparto del carcere, ma la risposta sarebbe stata “comandante e ispettore sono solo io”. Poi sarebbe stato minacciato di morte con un coltello rudimentale puntato alla gola passato a Casullo dal collega Licari (condannato in abbreviato, ndr).
E proprio quest’ultimo avrebbe fatto ingresso in cella dicendo “ora tocca a me” e cominciando a picchiare Colopi. Poco dopo si sarebbe unito anche Vertuani (anche lui difeso dall’avvocato Alberto Bova), anche se su di lui le contestazioni sulle violenze sembrano più sfumate.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, finito il pestaggio, la vittima sarebbe stata lasciata ammanettata e seminuda in cella, sino a quando non sarebbe stata notata dal medico del carcere durante il giro ordinario, almeno un’ora dopo i fatti (e poi sarebbe stato medicato dopo tre ore circa).
Casullo e Vertuani sono anche accusati di falso per aver redatto dei rapporti considerati non veritieri sull’accaduto e, di fatto, contengono il nocciolo della loro versione dei fatti: sarebbe stato Colopi ad accogliere i poliziotti con fare minaccioso, aggredendoli poi con calci e pugni, e loro avrebbero solo reagito per contenerlo e riportarlo alla calma.
Da uno dei rapporti emergerebbe anche che il detenuto avrebbe usato come arma un oggetto contundente ricavato da una bomboletta del gas, che però secondo gli inquirenti sarebbe stata introdotta proprio dai poliziotti. I quali, peraltro, non avrebbero fatto menzione né delle manette, né delle lesioni del detenuto (poi giudicate guaribili in 15 giorni), né del fatto che Colopi venne denudato e lasciato ammanettato e in mutande. Inoltre avrebbero scritto il falso affermando di aver immediatamente avvisato l’ispettore di sorveglianza, che invece sarebbe stato attivato solo un’ora dopo e solo al passaggio del medico.
Sempre i due sono anche imputati per calunnia nei confronti di Colopi, per averlo accusato di resistenza a pubblico ufficiale, pur sapendolo innocente.
Insieme ai due, oggi imputata c’è l’infermiera che era in servizio, Eva Tonini (avvocato Denis Lovison). Secondo gli inquirenti avrebbe scritto il falso nelle comunicazioni infermieristiche e dichiarato il falso ai carabinieri nel Nucleo investigativo nel tentativo di aiutare Casullo, Vertuani e Licari e sviare le indagini nei loro confronti.
In particolare avrebbe scritto (e riferito al medico, che però non ha confermato la circostanza) di aver trovato Colopi che sbatteva violentemente la testa sul blindo mentre passava per il giro della terapia tra le 8 e le 9 di mattina di quel 30 settembre: circostanza che risulterebbe smentita dall’agente che la seguiva. Anche su quest’ultimo avrebbe dichiarato il falso dicendo essere stata accompagnata da uno dei tre imputati, Licari, mentre per gli inquirenti con lei c’era un altro operatore della Penitenziaria.
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