Eventi e cultura
11 Gennaio 2024
L'11 gennaio 1999 moriva a Milano il più grande cantautore italiano. Il batterista ferrarese Ellade Bandini lo ricorda in una lunga intervista a Estense.com

Venticinque anni senza De André. “Vi racconto chi era il mio Faber”

di Redazione | 4 min

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Venticinque anni fa, l’11 gennaio 1999, moriva Fabrizio De André, cantautore e poeta tra i più grandi che il nostro Paese abbia mai conosciuto. Per quindici anni nel corso della sua carriera, accanto a De André sul palco (ma talvolta anche in studio) dietro i tamburi e i piatti della batteria sedeva un ferrarese, un batterista straordinario e dotato, intelligente e prezioso: Ellade Bandini.

Lo abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare qualche aneddoto o ricordo legato al grande cantautore e poeta genovese.

Ellade, quando avete iniziato a lavorare insieme con De André?
“Era il 1984 e io all’epoca vivevo a Peschiera Borromeo, vicino a Milano, perché a quel tempo lavoravo molto in studio e facevo tournée con i cantautori. Avevo appena terminato un tour con Guccini e una sera di fine agosto ho incontrato per caso Mauro Pagani che stava lavorando con Fabrizio De André. Mi chiese se fossi interessato a lavorare anch’io con lui, nel corso di un tour che sarebbe partito di lì a qualche settimana. I nostri inizi sono stati questi”.

Com’era lavorare con lui?
“Senza dubbio non semplice. Fabrizio era un perfezionista e pretendeva dalla sua band che tutto fosse preciso e non ci fossero sbavature durante i concerti. In quel periodo ho dovuto imparare gran parte dei pezzi che venivano suonati nel corso dei concerti. È stato piuttosto faticoso. Nonostante l’impegno, però, alla fine dei concerti riusciva sempre a trovare qualcosa che non andava anche se sono convinto lo facesse per mantenere alta l’attenzione su di noi, come fossimo sempre al primo concerto del tour”.

E dal punto di vista umano?
“Conservo ricordi molto vividi legati al suo aspetto umano. Nei giorni di concerto si presentava in teatro nel pomeriggio e mi raggiungeva. Il suo profumo anticipava il suo arrivo. Un profumo che a me ricordava le vecchie botteghe dei barbieri. A quel tempo io andavo in teatro presto per rilassarmi. Lui arrivava e mi appoggiava le mani sulle spalle. Era un uomo che non dava i baci a vuoto nell’aria, ma quando ti baciava sulle guance lo faceva lasciandoti il segno. Prima del concerto si sedeva in disparte, fumando e guardando la sedia posta appena dietro il sipario, sulla quale si sarebbe seduto durante il concerto. Più l’inizio del concerto si avvicinava, più si riusciva a percepire la tensione. Lui ci sorrideva, ci teneva in considerazione, ma spesso lo faceva con un’aria “tirata”. Noi della band in quei momenti ci sentivamo soli, ognuno concentrato su di sé, non come un vero e proprio gruppo. Tutto cambiava all’inizio del concerto, quando noi della band potevamo vedere gli occhi del pubblico delle prime file emozionato per l’esecuzione dei brani. La carica ci veniva di lì, dalle emozioni che Fabrizio era in grado di suscitare nel pubblico”.

Quali sono gli episodi che ricordi in maniera più vivida e affettuosa?
“Ne potrei raccontare tantissimi. Fabrizio non era una persona facile; uomo di grande cultura, spesso e volentieri non sapevi nemmeno da dove partire per intavolare un discorso con lui. Era un artista che sapeva trasmettere al suo pubblico le emozioni, ma che aveva anche bisogno di ritirarsi, sparire per un po’, come quella volta che nel bel mezzo di un tour sparì per tre giorni, per riapparire poi e proseguire con il giro di concerti. Un altro episodio che ricordo fu durante i funerali di Naco (Giuseppe Bonaccorso, percussionista famosissimo che ha accompagnato alcuni dei grandi della musica italiana, tra cui proprio De André e scomparso nel 1996 in un incidente stradale): eravamo in fondo alla chiesa. Mentre il parroco parlava di Naco, Fabrizio si alzò e ci disse che quel prete non sapeva nulla di Naco. Prese ed uscì. Ci sembrò una scusa per uscire a fumare una sigaretta”.

E di quell’11 gennaio 1999 cosa ricordi?
“Del giorno preciso non ricordo niente. Conservo memoria dell’ultima volta in cui l’ho visto. Era fine agosto del ’98. Stavamo facendo le prove prima di un concerto a Saint-Vincent. Fabrizio non stava bene; aveva sempre un fastidioso mal di schiena che non gli permetteva di suonare adeguatamente la chitarra, soprattutto l’arpeggio particolare di Amico Fragile sul quale dovevo inserirmi io con la batteria. Ad un certo punto delle prove quando ha visto che non ce la faceva, ha sbottato, ha fatto cadere la chitarra a terra e se n’è andato. Di lì poi è stato ricoverato ad Aosta e poi a Torino e infine a Milano dove poi è morto”.

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