La capra sulla rupe
22 Dicembre 2023

Non usare le narrazioni degli altri

di Alessandro Chiarelli | 4 min

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Sul degrado del quartiere Giardino Arianuova Doro e sull’attribuzione di responsabilità al sindaco di allora, la lega ha costruito buona parte della narrazione che nel 2019 ha travolto un sistema di potere che durava da settant’anni.

Tuttavia, quella campagna mediatica fu anche un’abile operazione di retorica manipolatoria. Attribuire il degrado del quartiere agli errori del Sindaco fu un nesso causale forzato, sostanzialmente scorretto.
Sulle ragioni per le quali questa narrazione, palesemente strumentale, sia stata accettata piuttosto supinamente, si possono fare diverse ipotesi, ma non è il tema di questa nota.

Il punto urgente è che ancora oggi, l’idea che il Sindaco debba rispondere del degrado criminale di un quartiere rischia di condizionare la campagna elettorale che si avvicina.
Voci dell’opposizione usano la stessa retorica leghista tentando di rovesciare l’effetto del 2019; dicono che il GAD è uguale a prima.
Il che è sostanzialmente vero.
Ma è anche vero che la criminalità non è una responsabilità diretta del sindaco, di qualunque colore esso sia.
Il dibattito è surreale.

Il Sindaco ha compiti che, in materia di pubblica sicurezza e contrasto alla criminalità, sono residuali rispetto agli intestatari della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica nelle sue accezioni generali. L’aumento di attribuzioni che le recenti riforme hanno previsto in favore dei sindaci, non lo fanno il principale responsabile – specie in un capoluogo di provincia – di eventuali situazioni di degrado criminale; che continuano a fare capo a Prefettura, Questura e delle altre forze di polizia, ognuna per le sue competenze.

Per dirla con le parole del Consiglio di Stato “con riferimento alle funzioni esercitate dal Sindaco in materia di pubblica sicurezza vi è un rapporto di dipendenza dal Prefetto”.

I leghisti, che avevano promesso di fare del GAD una specie di paradiso, hanno combinato ben poco, anche perché la velleità di farsi sceriffi, se non poggia su basi normative, diventa vuota propaganda.
Le azioni messe in atto per sanare il degrado sono state: rimozione delle panchine dai giardini del grattacielo (che almeno spaccino in piedi), messa in opera di una recinzione con lance appuntite per delimitare i giardini, insediamento di un Luna Park permanente. Risultato ottenuto? Gli Spaccini hanno traslocato sulle Mura di via IV Novembre, e forse adesso sono addirittura visibili dalle finestre del Comando di Polizia Municipale.

Sono più numerosi di prima, impuniti e arroganti più di prima.
Oltre a questi interventi inutili, Il comune leghista, a trazione securitaria e sceriffesca, ha concentrato gli sforzi, e speso notevoli risorse economiche, nel rifare il look alla polizia municipale; hanno comprato uniformi che paiono un ibrido tra la tuta dei corpi speciali e quella dei metalmeccanici, hanno comprato pistole, e cani antidroga.
Il risultato l’ho detto prima. Gli spaccini hanno traslocato di 300 metri.

Ma invece di discutere delle velleità di improbabili sceriffi, sarebbe meglio concentrarsi sulle competenze esclusive del sindaco che hanno, – quelle sì – un grandissimo impatto sulla pubblica sicurezza (indiretto ma fondamentale).

La sicurezza sociale è l’esito di numerose variabili, che non si riassumono in qualche arresto di spaccini. È invece il prodotto di una paziente costruzione di condizioni di armonia sociale, di pacificazione dei conflitti, di recupero degli emarginati. Le politiche di prossimità ai cittadini costruiscono più sicurezza che sequestrare un etto di hashish. La vicinanza ai cittadini è forse il compito principale di un sindaco, che è titolare in forma pressoché esclusiva di questa prerogativa.

Unica autorità locale elettiva, il sindaco dovrebbe avere massima cura di avere un filo diretto con i cittadini.
E dovrebbe non confondere questo filo con la propaganda degli addetti stampa.
Perché questo filo si è spezzato in molti punti, con larga parte della cittadinanza, ben più di quanto non fosse già sfilacciato prima.

I luoghi dove misurare l’azione del sindaco sono allora quegli strappi nel tessuto sociale che invece di ricucire, ha ulteriormente allargato. Sono le scelte discriminatorie verso le categorie sociali più fragili. Sono l’aperta ostilità mostrata verso i portatori di una qualche diversità. Sono l’indifferenza ostentata verso i soggetti più emarginati per motivi etnici, religiosi, sessuali. Sono le assenze alle celebrazioni più sacre della Repubblica. Sono il continuo spregio verso la ritualità democratica. Sono la sufficienza con cui si ascoltano le ragioni degli altri. Sono l’entrare in conflitto con chiunque abbia un’idea contraria, fossero anche i tribunali della Repubblica.

Questa cifra politica, condita dalla violenza verbale che alcuni amministratori usano come lessico quotidiano, ci restituisce una città abbruttita, una città in cui il vivere civile si sta allineando allo stile di cui i vertici di questa amministrazione sono portatori.

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