La capra sulla rupe
10 Dicembre 2023

Della sua anima voi non avete capito niente

di Alessandro Chiarelli | 4 min

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Ricordo il suono ovattato dei miei passi sui ciottoli del centro. Spesso il Castello era avvolto nella bruma, talvolta addirittura non si vedeva la cima delle torri. Ho visto tanti natali ferraresi, ormai gli anni si sommano. Ricordo che le file di luci che univano i palazzi del centro disegnavano una tettoia luminosa discreta, fatta di aloni biancastri e luci intermittenti. La città manteneva il suo aplomb in ogni occasione, e Natale non faceva eccezione.

Ferrara, non ha mai osato cedere alla smodatezza. L’anima di questa città ha sempre fatto della penombra e mai della piena luce, il suo luogo di elezione. Il volto segreto di Ferrara lo scorgi nei suoi chiaroscuri, ma se anche ci sei nato non riuscirai mai a coglierla per intero. É una creatura elusiva che non vuole mostrarsi.

Le atmosfere rarefatte, i silenzi sospesi in una dimensione quasi onirica, hanno nutrito le ispirazioni di Michelangelo Antonioni, hanno dato forma alla poetica dei pittori metafisici, e forse solo questa magia, questo collocarsi della città quasi fuori dal tempo, poteva illudere i ragazzi del Giardino dei Finzi Contini che la guerra, le persecuzioni degli ebrei, non sarebbero mai arrivate. Qui era facile pensare di essere al riparo, da tutto. L’accumulo di pomeriggi bianchi, in cui niente accade, è quello che Roberto Pazzi definì la prova dell’innocenza.

Quante volte ci siamo detti, con un filo di rassegnazione, che tanto qui non cambierà mai niente, perché delle passioni, dei tumulti, del chiasso che c’era nel mondo a Ferrara sarebbe sempre arrivato solo un refolo, subito lasciato andare.

Invece la città sta subendo un durissimo contrappasso. Ad una idea di ferraresità che per essere tale, doveva era necessariamente “sotto le righe”, si è sostituito un processo di lunaparkizzazione del nostro stile di vita.

Se un tempo Ferrara era una signora colta, poco accogliente nella sua rigidità formale e nei suoi silenzi, oggi è diventata un clown, un clown tanto più triste tanto più si costringe a sembrare allegro e festoso.

È successo qualcosa che è più di un normale cambiamento; è l’affermazione rabbiosa di tutto ciò che è storicamente antitetico alla nostra cultura. Non bastano le dinamiche politiche a spiegare una nemesi tanto radicale nell’identità di un gruppo sociale come il nostro.

Viene da pensare che forse il mistero della nostra anima nascondesse un’ombra che è emersa appena le condizioni lo hanno permesso, e viene da pensare che quel ritrarsi di fronte alla vita – tipico della ferraresità – si è involuto in desiderio di autodistruzione; io non lo so.

So che il paesaggio della città non è più il paesaggio della mia anima; so che mi sento straniero a casa mia.

E non è solo per le scelte politiche, alcune odiose, altre discriminatorie, altre semplicemente insensate e stupide. La politica e i politici passano e vanno. Parlo del cambiamento estetico e antropologico; parlo di una città ormai irriconoscibile.

La misura e l’avversione verso la pacchianeria ed il chiasso, sono stati il lessico condiviso di questa comunità così come la dismisura e la grevità verbale ed estetica sono il lessico di questa sconcertante fase della nostra storia.

Tutto è smodato, sgraziato, fuori misura. La bellezza della città resiste a fatica all’aggressione della bruttezza.

Ragnatele di luci, giganteschi reticoli di palle luminose hanno invaso ogni angolo del centro; corride di luci hanno circondato Savonarola, e nella Rotonda Foschini, uno dei luoghi più magici e sobri della città, troneggia una enorme palla luminosa che sembra la luna scesa direttamente sulla terra, come nel film di Fellini in cui recitò anche il nostro compianto cittadino George Taylor.

Nessuno parla a bassa voce. Gridare, insultare anche nei luoghi più sacri di una comunità, è la cifra di una città che sembra un Set di un film di Fellini. L’estetica del grottesco ha trovato in questa perla rinascimentale, la sua nuova capitale. La prima città moderna d’Europa è adesso una città pacchiana e cialtrona che arretra nella qualità del suo vivere.

E la frenesia di avvenimenti – una fiera dietro l’altra, un concerto dopo l’altro, persino nelle notti gelide di dicembre – questo muoversi compulsivo e tarantolato sembra voler convincerci, o voler convincersi – di essere vivi, ma paiono solo la disperata, patetica vitalità di un clown che non sa più cosa fare, cosa dire per non raccontarci – non raccontarsi – che tutto questo inutile sfavillio di lustrini e baracconi non cancellerà mai il fatto che Ferrara è un’altra cosa, e che della sua anima, voi non avete capito niente.

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