Dieci mesi ciascuno. È quanto ha chiesto ieri (7 dicembre) – al termine della propria requisitoria – il pm Ciro Alberto Savino per i tre sanitari di una casa di cura privata della città finiti a processo con l’accusa di omicidio colposo in concorso per la morte dell’82enne Francesca Branchini, avvenuta il 9 settembre 2017.
La donna, che aveva accusato forti dolori all’addome, si era recata inizialmente all’ospedale di Cona. Qui le era stato consigliato un ricovero di osservazione, ma tornò a casa. Salvo poi tornare il giorno successivo, per il peggioramento della situazione, e venne ricoverata nella casa di cura, dove le venne diagnosticata una sub occlusione intestinale, con prescrizione di terapia farmacologia.
La situazione non migliorò, tanto che venne trasportata d’urgenza nuovamente a Cona, dove morì nel pronto soccorso circa mezz’ora dopo il suo arrivo.
L’ipotesi della Procura è che i sanitari della casa di cura abbiano sottovalutato i sintomi ed effettuato una diagnosi non corretta. Secondo i consulenti del pm, infatti, la donna stava soffrendo per una occlusione intestinale, e non per una sub-occlusione, così come anche gli stessi periti nominati dal giudice hanno confermato nella loro relazione, durante l’ultima udienza.
Oltre a comprovare l’errore di valutazione dello stato di salute della vittima però, nei loro accertamenti, i due esperti hanno anche appurato che la donna, durante la propria degenza, non sarebbe stata adeguatamente idratata, fino al sopraggiungere dell’infarto che l’avrebbe stroncata.
Inizialmente era stato indagato anche il medico del pronto soccorso, che è stato assolto in rito abbreviato.
Per i tre sanitari rimasti a processo, difesi dagli avvocati Claudia Pelà e Paolo Cristofori, la sentenza è attesa per il 30 gennaio.
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