di Federica Pezzoli
Una corsia vuota sulla pista della gara femminile dei duecento metri piani delle Olimpiadi di Londra 2012: è quella che Chiara Tessiore si è immaginata riservata a Samia Yussuf Omar, atleta somala diciasettenne che ai giochi di Londra non arriverà mai perché la sua corsa per la vita è finita, come purtroppo quelle di tanti – troppi – altri, nel mar Mediterraneo.
Conosciamo la storia di Samia grazie a Abdi Bile, medaglia d’oro nei millecinquecento metri ai Mondiali di Roma 1987. Dopo il trionfo di Mo Farah, atleta britannico di origine somala, alle Olimpiadi di Londra, davanti a una platea riunita a Mogadiscio per ascoltare i membri del Comitato Olimpico Nazionale, dice: “Siamo felici per Mo, è il nostro orgoglio, ma non dimentichiamo Samia. Sapete che fine ha fatto Samia Yusuf Omar? La ragazza è morta… morta per raggiungere l’Occidente. Aveva preso una carretta del mare che dalla Libia l’avrebbe dovuta portare in Italia. Non ce l’ha fatta. Era un’atleta bravissima. Una splendida ragazza”. Chiara Tessiore ne ha fatto una storia di “velocità e dimenticanza” e l’ha raccontata in anteprima per il pubblico di Ferrara OFF sabato 2 dicembre.
È il 19 agosto 2008, fa caldo e nel famoso stadio soprannominato “the bird nest”, il nido d’uccello, si corre la quinta batteria di qualificazione dei duecento metri piani femminili: Samia, che corre in seconda corsia, magrissima, con i fuseaux lunghi, una maglietta di cotone con i colori della Somalia, scarpe regalate dalla squadra di atletica sudanese e una fascia di spugna bianca sulla testa, arriva ultima. “Nove secondi di distacco dalle altre. Sui duecento metri. Un’infinità”.
In quei secondi, in quei metri che la separano dalle altre, fortissime atlete in gara, Tessiore concentra tutta la storia di Samia, in una sorta di telecronaca che accorcia e dilata i tempi narrativi come se stesse riavvolgendo o mandando avanti una videocassetta: un vhs come quelli così presenti in ogni casa negli anni Novanta e che ora giacciono dimenticati nelle soffitte e nelle cantine, ormai superati dallo streaming e dalle piattaforme on demand. Gli allenamenti per le strade di Mogadiscio, con le maniche lunghe e il velo in testa, fra i posti di blocco e le minacce di morte se non avesse smesso di fare sport; l’amicizia con il suo ‘allenatore’ Alì, scomparso dalla sua vita a causa della guerra civile e del fondamentalismo che attanagliano la Somalia; il viaggio intrapreso nel 2011 per raggiungere la Libia e da lì l’Europa, ma finito in mare. Per allenarsi e realizzare il suo sogno. Samia, infatti, non sognava altro che correre e fare l’atleta e invece, suo malgrado, è diventata un simbolo: la ‘storia perfetta’, l’incarnazione dello spirito olimpico, in cui amore per lo sport ed emancipazione femminile lottano per riscattarsi da un’Africa povera e violenta. E poi? E poi tutto è andato avanti e la sua esile e timida figura è caduta nelle acque scure del Mediterraneo e nell’oblio.
Dunque l’augurio di Chiara Tessiore è che quel “facciamo che…” con il quale coinvolge il pubblico al termine dello spettacolo, un po’ come fanno i bimbi e le bimbe quando giocano immaginandosi un mondo migliore, si trasformi anche in un ‘J’accuse’ e la commozione e la memoria durino più di un like su Facebook e di un video di YouTube, spingendoci non solo a indignarci ma a impegnarci per immaginare e fare un mondo migliore.
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