Attualità
4 Dicembre 2023
La Conferenza delle Donne Democratiche ospita la ricercatrice Vera Gheno, che presenta il suo nuovo libro, una serie di rimedi contro i pericoli della rete e non solo

“L’antidoto” contro i veleni del web

di Redazione | 5 min

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“L’antidoto. 15 comportamenti che avvelenano la nostra vita in rete e come evitarli”, edito da Longanesi, è il titolo dell’ultimo libro della sociolinguista, divulgatrice e ricercatrice dell’Università di Firenze Vera Gheno, presentato davanti a un folto pubblico da Libraccio in Piazza Trento e Trieste.

L’incontro, organizzato insieme alla Conferenza delle Donne Democratiche di Ferrara, si inserisce nella settimana delle iniziative intorno al 25 novembre, perché il linguaggio, virtuale e reale, riveste un’importanza fondamentale nelle relazioni con le altre persone. Con queste parole ha introdotto la serata Ilaria Baraldi, consigliera comunale e portavoce delle Donne Democratiche. “Un compendio che raccoglie comportamenti e abitudini spesso automatiche in rete da parte di tutti, per impulsività o scarsa attenzione, nonché errata comprensione di testo o contesto: sono atteggiamenti che fanno deragliare la conversazione dal tema principale, aumentando l’aggressività nella vita virtuale”.

“Sono in rete da 28 anni, e ho avuto il vantaggio evolutivo di abituarmi progressivamente all’interazione online e onlife”, afferma l’autrice. “Sono spronata dalle mie editrix, donne che cercano libri in potenza per trasformarli in atto: per Longanesi è Marianna Aquino, che mi ha già seguito nella stesura di “Tienilo acceso” del 2018, libro dalla cui onda lunga nasce “L’antidoto”. Non è stato difficile fare una rassegna di elementi fastidiosi, con cui sono stata attaccata, e metterli insieme per la stesura di questo volume”.

Cos’è l’effetto tinello di cui si parla nel libro? “È la scarsa consapevolezza di essere in pubblico anche in rete. Gli adulti, ad esempio, sono plasmati da un tipo di conversazione monodirezionale, quella della televisione: molte persone la replicano sui social, senza rendersi conto che si tratti di un canale bidirezionale. Le minacce possono avere conseguenze legali, e i discorsi di odio provengono soprattutto dagli adulti, che però non replicano tali comportamenti fuori dalla rete”.

E poi, gli antidoti ai pericoli del web e della comunicazione virtuale “Il giornalista deve essere un cane da guardia della democrazia: ma mi sembra che in molti casi si inseguano clickbait o un modello da influencer, mirando a obiettivi economici e sollevando onde di indignazione nel pubblico. Il legame tra giornalismo ed economia è un problema grave. Nel 2023 ancora non si parla in modo decente di femminicidio: l’unica forma di protezione è creare una risposta immunitaria nelle persone, rendendole consapevoli di quello che leggono, attente a non cascare nella manipolazione e a stringere le maglie della rete della lingua, che lanciamo tra noi e la realtà quando comunichiamo”.

“Bisogna poi avere la capacità di argomentare: discutere senza litigare. Se si passa alle offese significa che non si è in grado di argomentare, perché si travalica il tema della conversazione. Alla portata di tutti è il miglioramento della competenza linguistica: ma comunicare meglio è faticoso, e certe persone si fanno vincere dall’inerzia”

Il linguaggio che si usa nella comunicazione è anche importante quando si parla di equità di genere. “L’italiano è una lingua ricca e permette di dire tantissimo e di essere usata in maniera attenta verso la società. Non è sessista la lingua, ma il modo in cui la usiamo: c’è una parte di sessismo evidente a chiunque, che è quella delle offese, in particolar modo di ambito sessuale rivolte alle donne, di scarsa virilità invece agli uomini. Non è solo una questione linguistica: i non maschi vivono in una società come ospiti, non sono a livello linguistico. Buona parte della società vive in una società che non è a sua misura: e la lingua esplicita questo retropensiero qui, di una società a misura della presenza maschile”.

Si parla di normalità e inclusione. “‘Normale’ è un aggettivo strano, si riferisce a ciò che corrisponde a una norma e a ciò che crea una norma: quindi si può decidere di volta in volta cosa è normale e cosa no. ‘Normale’ fino al Settecento indicava la versione più comune di una cosa, per poi passare con la generazione successiva – quella di Darwin – a designare le caratteristiche desiderabili, migliori, che fossero più comuni tra la popolazione, così che i posteri risultassero ‘migliori’. Va superata la contrapposizione tra normale/migliore e non normale/peggiore”.

Le società occidentali si stanno muovendo verso l’inclusione. “L’inclusione è già un passo in avanti rispetto alla tolleranza e all’integrazione, ma non supera la differenza di status tra ‘normali’ e ‘diversi’: a questi si tende la mano, spesso senza chiederne il parere. Si dovrebbe andare verso la convivenza delle differenze, senza chiedere adeguamenti a chi non è considerato ‘normale’: è il riconoscimento di avere o meno certi privilegi, dovuti alla casualità e non alla propria bravura o intelligenza”.

Ogni capitolo si apre con un veleno e si chiude con un antidoto. Sul web gli utenti che meno sanno sembrano avere la pretesa di sapere, e questo è uno dei veleni più diffusi in rete: “Io mi chiedo con cautela se sto esprimendo opinione o se sto invece manifestando una competenza. Se conosco poco l’argomento preferisco tacere. Non improvviso per contribuire in maniera negativa all’ecologia della comunicazione”. Pacatezza e silenzio sono l’antidoto migliore: “Chi parla meno parla meglio, e il silenzio dà più rilevanza alle parole: mantengo pulito il mio piccolo giardino comunicativo, se tutti lo facessero la città ‘onlife’ avrebbe un aspetto più pulito”.

Quindi non si può più dire niente? “Il rischio di censurare troppo c’è, ed è quello degli zelanti. Per evitarlo serve la fatica dello studio, che porta alla sicurezza”.

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