di Paola Peruffo*
Sicuramente i fatti degli ultimi giorni ci portano a una pessima vigilia del 25 novembre, la giornata dedicata al tema della violenza sulle donne. Sia chiaro che, oltre alla vicenda orribile culminata con l’uccisione della giovanissima Giulia Cecchettin per mano del suo fidanzato ci sono – purtroppo – tantissimi altri episodi, per lo più sommersi, che vedono migliaia di donne di ogni età vittime di violenza.
Una tragedia capitata in una zona ricca e prosperosa, lontano – per esempio – da quel Caivano su cui erano stati spesi fiumi di parole addossando tante responsabilità al contesto sociale, al di là delle colpe dei singoli. Questo per dire che non esistono zone franche dove calare la guardia su questo genere di violenza.
Tornando all’oggi i media stanno dedicando tempo e attenzione (alcune volte in maniera spasmodica) a una vicenda ancora viva, pur con accezioni che non mi trovano d’accordo. Mi riferisco a quel genere di narrazione in cui vengono usati con leggerezza termini come “bravo ragazzo” o “persona insospettabile” che ha vissuto “un raptus”. Non è così. Una persona non agisce come ha agito l’assassino al pari di un fulmine a ciel sereno: i segnali quasi sempre ci sono ma troppo spesso vengono sottovalutati.
Da una parte c’è bisogno, come viene detto da anni, di educazione al rispetto da parte dei giovani in merito alle relazioni sentimentali, spiegando soprattutto ai maschi che un partner non è un oggetto di proprietà o una palestra dove esercitare il proprio potere, ma una persona libera di compiere scelte, anche dolorose per la controparte. Dall’altra c’è la necessità di argini immediati, al di là dell’inasprimento delle pene per questi reati e della certezza di applicazione dei provvedimenti di tutela.
Serve qualcosa di più da parte dei soggetti potenzialmente attivi. Parlo di chi sapeva e che avrebbe potuto parlare e agire. Se un uomo mostra “piccoli episodi di violenza” molte volte è pronto ad amplificarli. È lecito pensare che familiari e amici intimi dell’omicida, così come della vittima, ne fossero a conoscenza. Sarebbe potuto cambiare qualcosa denunciando o semplicemente parlando in modo serio di questi segnali? Nessuno può dirlo ma in tanti – io compresa – ritengono che questa sia l’unica strada per provare a fermare i potenziali assassini.
Un focus va poi riservato ai cosiddetti “incontri chiarificatori”. I dati ci dicono che nel momento in cui una donna comunica al partner la fine di un legame, nei soggetti potenzialmente pericolosi può scatenarsi una reazione violenta. Ecco allora che giocano un ruolo chiave le persone vicine al soggetto debole: un amico, una confidente del cuore, un parente, un compagno di squadra, un allenatore. In via teorica potrebbe essere ciascuno di noi a conoscenza di un rischio potenziale a cui è esposta una donna. Se vogliamo vivere in un contesto sociale migliore nessuno può far finta di nulla o accampare scuse.
*Presidente Commissione Pari Opportunità Comune di Ferrara
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