Giallo in via Poletti, 60enne trovato morto in casa
Un uomo ferrarese di 60 anni è stato trovato senza vita all'interno del proprio appartamento in via Poletti, a Ferrara
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Otto anni ha chiesto il pubblico ministero e otto anni è stato il verdetto giunto dal giudice collegiale di Ferrara. Otto anni per aver maltrattato e violentato in maniera brutale la moglie allora convivente, con umiliazioni quasi impossibili da credere.
Si è chiuso così il processo di primo grado nei confronti di un uomo di 66 anni, di origine giordane e con passaporto italiano. La vittima è l’ex moglie, 49 anni, di origini marocchine.
L’origine di questa atroce storia va ricercata su internet. I due si conoscono via chat. Lei in patria è una ingegnere affermata, lavora per il genio civile, ha una famiglia altolocata. Ma è rimasta vedova a 40 anni. Lui vive da tempo a Ferrara. I modi gentili di lui la convincono ad accettare le sue avances, dietro le quali c’è anche la promessa di matrimonio.
Dopo due anni di frequentazione e corteggiamento virtuale lei lo raggiunge in Italia, a Ferrara. Nel febbraio del 2020 celebrano in Giordania il loro matrimonio.
Forse è l’ultimo momento felice della sua vita. Dopo pochi mesi la sua vita diventa qualcosa di simile all’inferno.
Il clima domestico si caratterizza per trattamenti assimilabili alla segregazione. Il marito la obbliga al digiuno. Può lavarsi solo dietro il suo permesso. Le è proibito uscire di casa o avere altre relazioni sociali. Viene privata di qualsiasi risorsa economica.
Al primo segno di ribellione lui inveisce gridandole “puttana”, “sei una cagna”, “sporca marocchina” e colpendola con calci e pugni.
Questo trattamento è valso all’umo l’imputazione per maltrattamenti in famiglia. L’altra imputazione è violenza sessuale aggravata.
Anche qui il copione rasenta la follia. La donna era costretta ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, a giorni fissi, due volte alla settimana. E durante i rapporti il marito di dimostrava brutale. La insultava e la obbligava con la forza a subire tutto ciò che voleva, tanto che dopo ogni rapporto si contavano ferite e lividi sul corpo.
Oltre alle violenze fisiche c’erano anche le umiliazioni morali. Il marito aveva un’amante. E pretendeva che lei non solo l’accettasse, ma che fosse lieta di condividere casa e talamo con quella che lui considerava una seconda moglie.
E non è mai stato un segreto da tenere celato, visto che era il marito stesso a inviarle via telefono le foto di loro due assieme.
Un segreto da non svelare sembrava essere diventato in aula, dal momento che l’amante è stata chiamata a deporre. Inizialmente ha detto di non conoscere l’imputato. A suon di contestazioni le sue dichiarazioni sono passate dal “semplice rapporto superficiale” all’ammettere di aver viaggiato insieme a lui in Giordana per conoscere la sua famiglia.
Durante la precedente deposizione della parte civile, invece, la vittima rivelò anche che fu costretta a preparare la vasca da bagno per il tradizionale rito dell’hammam, con cui avrebbe dovuto massaggiare e lavare sia il marito che l’altra.
La via di fuga da quella morte civile si presenta inaspettata. Il 10 novembre 2020 quando, al termine dell’ennesimo sopruso, l’uomo la caccia fuori di casa con addosso solo il pigiama. Con l’aiuto di un’amica, che le prenota e le paga una stanza, la vittima trova rifugio in un albergo della città. Si presenta scalza e mezza nuda in hotel. Da lì compone il 1522 e chiama il Centro Donna e Giustizia.
Da allora è assistita legalmente dall’avvocato Sara Bruno, che ieri in sede di discussione si è associata alla richiesta di condanna del pm Stefano Longhi.
Il tribunale collegiale ha accolto la richiesta, condannando il 66enne a otto anni, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento nei confronti della parte civile.
I giudici hanno anche inviato gli atti alla procura per valutare se procedere per falsa testimonianza nei confronti dell’amante del marito.
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