di Cecilia Gallotta
Libertà. Una parola che non lascia indifferenti, specie in questo periodo di conflitto, ma di cui Alessia Piperno ha potuto conoscere il significato più profondo già molto prima. Non poteva infatti utilizzare una parola diversa come titolo per il suo libro “Azadi!” – che significa, per l’appunto, libertà – presentato anche a Ferrara sabato pomeriggio, in un incontro organizzato dalla startup Journhey presso i locali dell’ex Teatro Verdi.
È passato esattamente un anno e un mese da quando la travel planner romana è stata arrestata e imprigionata nella sezione 209 del carcere di Evin, a Teheran, nel giorno del suo trentesimo compleanno, ignara che avrebbe trascorso lì i successivi 45 giorni. Cinquecento pagine di ritmo incalzante, da togliere il fiato perché “è il ritmo dello sconvolgimento, del terrore e del panico, ma anche della sorellanza con le altre detenute”, come introduce Camilla Ghedini, complimentandosi con l’autrice per la capacità di non scendere nella retorica durante la narrazione.
Del resto, per la retorica c’è stato poco spazio, perchè “per narrare i fatti ho dovuto mentalmente tornare fra quelle mura, giorno dopo giorno” racconta Alessia, tentando di tenere ferma la voce, “e ad ogni capitolo che concludevo era come se riuscissi a lasciar andare tutto ciò che ho provato lì. Mettere sotto forma di inchiostro un’esperienza del genere era l’unico modo per dare voce a ciò di cui altrimenti avrei fatto fatica a parlare”. E parlarne è l’unica maniera per poter “fare qualcosa”, specie dopo l’ultima ed ennesima terribile notizia, quella della morte della sedicenne Armita Geravand, già in coma da settimane dopo essere stata picchiata dalla polizia morale iraniana.
Ma “come mai una travel planner così informata e così navigata, che aveva già viaggiato in tantissimi paesi prima di allora, ha deciso di avventurarsi e correre questo rischio in un Paese come l’Iran?” Alla scomoda domanda che Alessia si è sentita porre innumerevoli volte dalla gente dopo la sua liberazione, risponde che “nessuno sconsigliava un viaggio in Iran in quel momento, perché non si trovava in guerra. Sapevo che c’era un regime, e che pertanto dovevo osservare regole rigide come indossare l’hijab e non portare magliette a mezze maniche o pantaloni corti anche se c’erano 50 gradi, ma ero ben disposta a farlo. Uno dei motivi per cui viaggio è proprio quello di vivere dall’interno culture differenti. Mi sono trovata in mezzo alle proteste per la morte di Masha Amini (uccisa nel settembre 2022 perché non indossava correttamente l’hijab, ndr) per caso, ma non stavo partecipando. Non potevo in alcun modo immaginare ciò che è successo”.
Il vero motivo del suo arresto è tutt’oggi un mistero, che ha fatto arrovellare e logorare Alessia nei 45 giorni di prigionia, in cui ha congetturato le ipotesi più disparate, dall’utilizzo di un drone per la creazione dei suoi contenuti digitali, alle origini ebraiche della sua famiglia. “Ma alla fine, un’idea sul motivo me la sono fatta” asserisce Alessia, “ed è che gli iraniani non vogliono in alcun modo che si venga a sapere all’esterno ciò che succede nel loro Paese. Ero da poco stata in Pakistan – racconta – e nonostante lì sembri di tornare indietro nel tempo di decenni rispetto alla modernità dell’Iran, non ho respirato il clima che invece ho trovato lì. In Iran, come avevo potuto intuire dalle telecamere installate ovunque, tutti hanno una doppia vita, una pubblica e una segreta. La stessa che ha portato a occultare la vera causa della morte di Masha”.
E la stessa che getta terreno fertile su cui alimentare i conflitti, come quello a cui stiamo assistendo: “Non sono dalla parte di Israele né di Palestina” dichiara Alessia quando inevitabilmente il discorso cade sulla guerra in Medio Oriente, perché “leggere queste pagine dopo il 7 ottobre fa effetto” come riporta Camilla Ghedini. “Sono dalla parte della pace. C’è sempre qualcuno che detiene il potere – prosegue l’autrice – ci sono sempre questioni di interesse, e ci sono sempre vittime innocenti che ci vanno di mezzo, che rimarranno esseri umani da una parte e dall’altra”.
L’Iran è infatti “grande regista di ciò che sta accadendo” si aggancia Ghedini, dopo aver letto dal libro il racconto dell’incalzante interrogatorio a cui Alessia è stata sottoposta per sapere se avesse rapporti con Israele. Interrogatori che avvenivano sempre con una benda sugli occhi e spalle al muro, come si legge nel libro: la stessa benda che compare sul volto della copertina, e da cui Alessia poteva guardare solo il pavimento, e riconoscere le persone dalle scarpe. “Ma da quella benda – rivela, con un barlume negli occhi carico di metafore – io spiavo sempre”.