Corporeno. Ha ripercorso in aula quei terribili minuti per filo e per segno, in un racconto ancora fortemente segnato dall’emozione, l’uomo che, insieme a sua moglie e ai suoi due figli, fu vittima di una tentata rapina nella sua villetta di Corporeno, avvenuta nella mattinata del 13 giugno 2020 quando, intorno alle 6, due uomini travestiti da operai, col volto coperto da un passamontagna, armati di pistola e piede di porco in pugno bussarono alla porta della sua abitazione, intimando agli abitanti di aprire subito, mentre un terzo faceva da palo.
Una volta che i due ladri gli intimarono di aprire la porta, infatti, loro, moglie, marito, due figli di 8 mesi e 5 anni, non diedero seguito a quel terribile ordine. I due uomini infilarono allora una forbice nella congiuntura dei due battenti, cercando di scardinare il portoncino, non riuscendoci perché nel frattempo era stato dato l’allarme ai carabinieri e un complice, un palo, ha avvisato i due rapinatori che qualcuno stava arrivando. Momenti di panico, nei quali la famiglia fuggì cercando riparo sul tetto, aprendo la botola della mansarda e aspettando i carabinieri a cavallo dei coppi. Un grande rischio per sfuggire alla violenza e alla minaccia degli assaltatori, catturati poi dai militari, uno mentre stava fuggendo, gli altri nel prosieguo delle indagini.
Lui, capofamiglia, è stato sentito ieri (mercoledì 25 ottobre) in tribunale a Ferrara, chiamato a testimoniare dal collegio giudicante – presidente Piera Tassoni con a latere i giudici Sandra Lepore e Alessandra Martinelli – dopo che uno dei tre accusati di tentata rapina, quello che aveva già patteggiato, durante l’ultima udienza, aveva raccontato al pm e a giudici che lui e il resto della banda, quella mattina, si sarebbero recati a casa sua per comprare droga o per ottenere informazioni su dove poterla reperire.
Un’affermazione che la vittima ha negato, respingendo “quelle falsità” che gli erano state attribuite ha affermato il legale che l’assiste, l’avvocato Gabriele Bordoni, che ora si riserverà di intraprendere eventuali azioni legali per tutelare il suo cliente.
Ieri inoltre è stata sentita anche l’ex compagna dell’unico imputato (uno ha patteggiato, mentre l’altro è stato condannato in abbreviato, ndr) rimasto a processo, un 45enne di nazionalità albanese che, a sua discolpa, durante l’ultima udienza, aveva riferito che dal 9 al 18 giugno 2020, settimana in cui avvenne la rapina, non si sarebbe trovato in Italia, ma in Albania. A Durazzo, dove gestiva un negozio in cui vendeva vestiti usati, un’attività che dismise nel 2021, quando andò in carcere dopo essere stato arrestato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio.
E a riprova di questa sua giustificazione, la difesa aveva prodotto due biglietti, uno di andata e l’altro di ritorno, entrambi intestati a lui con nome, cognome e data di nascita, su cui prossimamente saranno effettuati accertamenti, dal momento che, sentito il 7 giugno 2021 dai carabinieri, il 45enne non aveva minimamente fatto accenno a questo suo alibi.
Al termine dell’udienza, il collegio ha rinviato al 7 febbraio per la discussione.
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