Attualità
7 Ottobre 2023
Flash Mob di Rete per la Pace di Ferrara e Movimento non Violento in sostegno di "Stop Border Violence!"

“Restiamo umani per fermare, una volta per tutte, i respingimenti e ogni violenza alle frontiere”

(Foto di Riccardo Giori)
di Redazione | 4 min

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di Pietro Perelli

Sono passati dieci anni da quei tragici primi giorni di ottobre del 2013 quando oltre 500 persone morirono nelle acque del Mediterraneo tra la Libia e l’Italia. Dieci anni in cui nulla è cambiato e le persone continuano a morire, lì come nel deserto o sui monti nella cosiddetta “rotta balcanica”. A Ferrara per ricordare i caduti, per dire basta e “fermare, una volta per tutte, i respingimenti e ogni violenza alle frontiere” si incontrano sotto la statua di Girolamo Savonarola gli attivisti di Rete per la Pace di Ferrara e Movimento non Violento.

Si incontrano in sostegno di Iniziativa di Cittadini Europei “Stop Border Violence” e si chiedono “perché non sono stati salvati?” e ancora “quante Lesbo, Cutro, Pylos, Lampedusa?”. “Chi lo dirà a questi bambini?” a quei bambini che hanno perso i genitori in mare o a quei genitori che si sono visti trascinare via dalla corrente i figli che tenevano tra le braccia. “Restiamo umani” dicono e “Not in my name”.

Troppe le stragi, troppi i morti, ricordati con tredici brani. Brani attraverso cui ripercorre le tratte e gli strazianti viaggi nel deserto o quelli gelidi sui monti balcanici ma anche le prigionie in Libia e Tunisia senza dimenticare l’Europa con i passaggi a Ventimiglia o quelli tra il confine Polonia-Biellorussia e poi di nuovo il mare con l’attraversata della Manica.

(Foto di Riccardo Giori)

“Prendete e mangiatene tutti. – Leggono la poesia di Erri de Luca ‘Per i morti nel Mediterraneo’

Questi sono i corpi planati a braccia aperte sul fondale. In terra sono stati crocefissi, ora sono del mare e di voi pesci. Prendete e mangiatene tutti, che non avanzi niente, nessuna delle corde vocali che hanno gridato a vento. Fate questo in memoria di noi che rimaniamo a riva. Lasciatevi afferrare dalle reti per essere venduti sul banco del mercato, dove i sopravvissuti furono venduti. Sarete sulle nostre tavole imbandite. Di voi, sazi di loro, mangeremo tutto. Conservate una spina per le nostre gole, toglietela dalla corona dei perduti”.

La notte del 3 ottobre 2013 a poche miglia da Lampedusa muoiono 368 persone, i superstiti sono 155, di cui 41 minori. Li ricordano con le parole di Pietro Bartolo, all’epoca medico di Lampedusa: “Il primo giorno arrivarono 111 sacchi, che contenevano il corpo di persone da identificare. Ho pregato che il primo non fosse un bambino, ma non sono stato ascoltato. Quel bambino torna ancora nei miei incubi, chiedendomi perché non l’ho salvato”.

L’undici ottobre 2013 muoiono altre 268 persone. Il 19 aprile del 2015 testimonianze parlano di 850 a bordo di un peschereccio ribaltato nello Stretto di Sicilia. I numeri sono impietosi e quelli che si riescono a ricordare sono solo alcuni degli episodi più significativi.

 

(Foto di Riccardo Giori)

“C’è un’altra strada – legge un’attivista dal Podcast The Game. Il gioco atroce della rotta balcanica – ai confini orientali del continente, battuta ogni giorno da migliaia di persone che tentano di vincere il game, per arrivare finalmente nel cuore dell’Europa. Un percorso fatto di freddo, violenze da parte della polizia e respingimenti illegali: è la rotta balcanica. La zona dei Balcani occidentali è diventata progressivamente militarizzata. Per volontà dell’Ue, impegnata a difendere le proprie frontiere, le forze dell’ordine dei paesi di confine hanno avviato un’attività pianificata basata sul controllo capillare, anche con strumenti tecnologici, e sui respingimenti, fatti con estrema violenza, per impedire sia l’ingresso che il transito di persone sul territorio”.

“Quante volte – continua – hai tentato di attraversare la frontiera croata? Tante volte quanti gli anni che ho… 14 anni, 14 tentativi, 14 ferite che non si cicatrizzeranno con facilità. Abbracciami e non pensarci, almeno per adesso…

Oggi anche a Ferrara si alza un grido forte per “dire no agli accordi con paesi terzi colpevoli di violazioni dei diritti umani”, per “creare meccanismi di monitoraggio indipendenti volti a rilevare e fermare gli abusi, tanto alle frontiere che nello spazio comune europeo”, per “definire standard minimi di accoglienza validi per tutti i paesi membri e per l’intero periodo di permanenza sui loro territori; prevedere reali e specifiche sanzioni in caso di violazione delle normative Ue”.

 

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