Codigoro. Orari di lavoro inumani, nessuna paga e dispositivi di protezione individuali inadatti. È quanto denuncia uno dei lavoratori della Coop Agritalia di Verona, sentito ieri (27 settembre) in tribunale a Ferrara, durante l’udienza del processo per il presunto ‘caporalato‘ tra l’Emilia e il Veneto in cui sono finite alla sbarra sei persone.
La vicenda giudiziaria nasce dall’inchiesta sull’incidente stradale nel quale perse la vita Lahmar El Hassan, un cittadino marocchino di 62 anni, residente in provincia di Verona: nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2017 il furgone sul quale viaggiava con altri undici cittadini stranieri, tutti residenti nel Veronese, si ribaltò lungo l’autostrada A13.
Tutti erano lavoratori impiegati nell’emergenza per il focolaio di aviaria che era scoppiata il 5 ottobre nello stabilimento Eurovo di Codigoro. In questo frangente, gli inquirenti, coordinati dal pm Andrea Maggioni, hanno scoperto un vasto (presunto, ovviamente) sfruttamento di manodopera di operai stranieri.
Per quanto accaduto, davanti al collegio del tribunale, presidente Piera Tassoni con a latere i giudici Alessandra Martinelli e Andrea Migliorelli, sono stati rinviati a giudizio i legali rappresentanti della forlivense Cooperativa Agricola del Bidente (Elisabetta Zani, 51enne, presidente, il suo vice Gimmi Ravaglia, forlivese di 44 anni, e Ido Bezzi, 63 anni, dipendente della cooperativa) e poi Abderrahim El Absy della Coop Work Alliance di Cesena, Ahmed El Alami della Coop Agritalia di Verona e Lahcen Fanane della Coop Veneto Service di San Bonifacio, in provincia di Verona.
Nello specifico, Zani e Ravaglia (Coop del Bidente) dovranno rispondere anche del reato previsto per aver subappaltato la bonifica di Eurovo alle Coop Agritalia, Veneto Service e Work Alliance, senza alcuna autorizzazione da parte dell’Ausl. La coop forlivese, infatti, avrebbe ottenuto un appalto da cinque milioni, ma allo stesso tempo avrebbe poi concesso in subappalto ad altre tre società i lavori di abbattimento dei capi di pollame, di pulizia e disinfezione, in maniera – secondo gli inquirenti – indebita e senza l’autorizzazione dell’Ausl.
Proprio lì, in quello stabilimento, prestò il proprio servizio – sia come autista che come operaio – il lavoratore che ha testimoniato ieri in aula. Oltre due ore di racconto in cui l’uomo ha dettagliato quei due giorni in cui era stato impegnato nelle delicate operazioni di bonifica dell’impianto dal virus. “Non sapevo che ci fosse un’infezione, ma l’ho scoperto solo qualche giorno più tardi, mentre stavo lavorando” ha esordito, prima di dettagliare le condizioni igienico-sanitarie in cui era costretto a operare.
“Indossavamo stivali, guanti, una mascherina e tute in plastica – ha proseguito, incalzato dalle domande del sostituto procuratore – che poi appendevamo nello spogliatoio e utilizzavamo nei giorni successivi, quando alcune erano anche strappate. Non so se venissero lavate, ma non penso. Non ci facevamo nemmeno la doccia e non mi ricordo nemmeno se ci fossero delle docce. Alcuni di noi pulivano le gabbie con l’acqua dell’idropulitrice, altri portavano fuori lo sporco delle gabbie con una specie di spazzolone, facendolo finire nelle fognature del capannone. Ma nessuno ci aveva istruito e ci aveva detto quali erano i rischi che si potevano correre. Uno entrava e iniziava a lavorare, senza aver fatto alcun corso”.
Domande dalla pubblica accusa anche sul contratto stipulato con Agritalia: “Per venti giorni ho lavorato quindici ore al giorno. Dormivo e mangiavo un panino in auto e tornavo a casa solo alla domenica, senza mai ricevere una busta paga. Poi, dopo aver intentato una causa di lavoro, tramite un avvocato di Padova, che avevo consigliato ad altri lavoratori, mi arrivò un bonifico di 850 euro. È in quella circostanza che mi dissero che sulla carta ero stato pagato 6 euro all’ora. Ma prima di quella volta, non avevo mai ricevuto soldi”.
L’esame si è poi soffermato sulla firma che il lavoratore avrebbe apposto su un documento che riportava l’elenco delle persone che avevano lavorato nello stabilimento per tutto il periodo: “Non dovevo firmare perchè le persone non le conoscevo tutte e magari c’era qualcuno che stava lavorando senza documenti. Non ho letto il documento è quella è stata la fregatura. Ero nell’ufficio della sede di Forlì, alla presenza di Ahmed El Alami (Coop Agritalia) e Ido Bezzi (dipendente Cooperativa del Bidente) – entrambi indagati, ndr – a lavori finiti. Mi pare fosse febbraio 2018. Non mi fecero leggere e firmai. Mi dissero che la firma serviva a sistemare alcune carte e non feci domande. Firmai perchè volevo essere pagato e basta“.
Durante l’udienza è stata sentita anche un’ispettrice dell’Ispettorato del Lavoro, che ha illustrato i risultati delle indagini a carico della Coop Veneto Service e della Coop Agritalia. Nel primo caso, su 84 lavoratori impiegati, 41 non avevano rispettato il riposo settimanale e 4 quello giornaliero. Nel secondo caso invece, in cui risultavano essere assunti regolarmente 120 lavoratori, mentre solo uno era irregolare, era stata elevata una maxi-sanzione per il lavoro in nero. Ma non solo, nelle indagini sono stati anche riscontrati numerosi casi di lavoro straordinario e pochi riposi. Infine – ha riportato in aula l’ispettrice – risultano a carico di Agritalia alcune denunce di lavoratori agli uffici territoriali di Padova e Verona.
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