
Licia Barbieri, Carlo Cottarelli e Stefano Bonini
di Pietro Perelli
Carlo Cottarelli ha presentato a Ferrara, in un incontro organizzato da Italia Viva al Palazzo della Racchetta, il suo ultimo libro Chimere. Sogni e fallimenti dell’economia. Lo fa in una conferenza moderata da Stefano Bonini, docente di finanza all’Università di Bologna, con la presentazione di Licia Barbieri e Federico Orlandini coordinatori ferraresi di Iv.
Durante tutto il dibattito Cottarelli cammina su un filo sottile che oscilla tra pessimismo e ottimismo. Pessimismo per l’emergenza climatica per cui vede come unica speranza “un’innovazione tecnologica” che porti verso “la produzione ancora più efficiente di energia rinnovabile” o “l’energia atomica dalla fusione nucleare”. Questo perché ci troviamo di fronte a una asimmetria per cui la diminuzione di produzione di Co2 che i paesi “così detti sviluppati” stanno attuando da ormai 15 anni è compensata dai paesi in via di sviluppo. Paesi nei quali comunque la produzione pro capite di Co2 rimane inferiore a quella di un europeo o un americano ma che nel complesso arrivano a livelli alti a causa della crescita economica che stanno ancora vivendo.
Crescita economica che ha portato i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ndr) a superare il Pil a parità di potere di acquisto dei paesi del G7 e “visto che la politica solitamente va con l’economia saremo destinati a essere dominati da questi paesi”. A meno che non si riesca rilanciare lo sviluppo del mondo occidentale la cui leadership negli ultimi secoli è dipesa dalla “capacità di innovazione tecnologica”.
Oggi però, il dibattito pubblico, si concentra in modo particolare sull’inflazione in aumento e sull’aumento dei tassi di interesse messo in atto dalle banche centrali proprio per contrastarla. Dopo il crollo economico del 2020 “le banche centrali sono giunte alla conclusione che dovevano tornare ad essere il bancomat dei governi” e hanno quindi deciso di stampare denaro immettendo “1.700 miliardi di euro in due anni”. Ciò ha fatto si che tornasse ad “aumentare la domanda e quindi la produzione”.
In una situazione tutto sommato nuova si è però andati un po’ oltre tanto da arrivare a causare il periodo di inflazione che stiamo vivendo e che le banche centrali stanno contrastando aumentando i tassi di interesse. Così facendo si dovrebbe riuscire a ridurre la domanda tornando a una situazione economica più equilibrata.
“Aumentano i prezzi ma non aumentano gli stipendi” fa notare Bonini. In un caso come questo i governi potrebbero “agire sulle tasse” per aumentare gli stipendi e quindi dare potere d’acquisto. Anche questo potrebbe essere una modalità di contrasto all’inflazione o comunque un modo di garantire maggiore benessere alle famiglie.
Cottarelli pone alcuni dubbi, non tanto legati alla bontà di un ipotetico abbassamento delle tasse, ma riguardo alla fattibilità. Oggi infatti “l’aliquota più alta è al 43%” mentre “all’inizio degli anni ’70 era al 72%”. Gli anni di Regan e della Tatcher hanno portato a una progressiva diminuzione della tassazione “specialmente per le fasce più ricche della popolazione” e la globalizzazione ha reso impossibile pensare ad aliquote maggiori per le fasce più ricche. Maggiorazioni che servirebbero per rendere sostenibile la riduzione della tassazione alle fasce meno abbienti. Se lo fa un solo stato sarebbe molto semplice spostarsi in un altro per evitare l’aumento di tasse annullando così i benefici.
Una soluzione è quindi quella di “un accordo internazionale” verso il quale c’è stata una prima spinta beneaugurante “tre anni fa quando i governi di 127 paesi hanno concordato di accettare una tassazione minima del 15% per le multinazionali”. Altra possibilità, “per cui mi batto da trent’anni”, è la lotta all’evasione fiscale da cui negli “ultimi anni si sono riusciti a recuperare 10 miliardi”. L’economista pare anche possibilista verso modalità di tassazione legate al patrimonio. Anche in questo caso le aliquote sono diminuite moltissimo (con la parentesi dell’annullamento da parte del governo Berlusconi) ma sono anche più basse rispetto a paesi come la Francia che da questa tassa ha un gettito di 15 miliardi superiore all’Italia.
Alcune rimodulazioni che vadano nella direzione di un alleggerimento fiscale per le classi più deboli sarebbero sostenibili e anche necessarie. Non lo sarebbe invece la Flat Tax al 15% per una questione di coperture della spesa pubblica con la quale si finanzia tanta parte del welfare.
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