Cronaca
27 Settembre 2023
Acquisiti su richiesta del pm le spontanee dichiarazioni, le sommarie informazioni e i verbali di Isabella Internò

Omicidio Bergamini. In aula la sofferenza dei familiari

di Redazione | 5 min

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Torna in aula il processo per l’omicidio di Denis Bergamini, calciatore ferrarese del Cosenza, morto il 18 novembre 1989 a Roseto Capo Spulico. Ieri, martedì 26 settembre, davanti alla Corte d’Assise sono stati sentiti due testimoni delle parti civili.

Prima delle deposizioni però il pm Luca Primicerio, alla luce della recente decisione dell’unica imputata Isabella Internò di non sottoporsi ad interrogatori, ha chiesto l’acquisizione di spontanee dichiarazioni, sommarie informazioni e verbali della stessa rilasciate nel corso degli anni. Di fronte all’opposizione dei legali della difesa la Corte si è ritirata per decidere in merito e dopo una lunga discussione ha sancito l’acquisizione delle spontanee dichiarazioni rilasciate dalla Internò al brigadiere Barbuscio la sera della morte del ragazzo e delle dichiarazioni rilasciate al procuratore Abate il 23 novembre dello stesso anno.

La prima a salire sul banco dei testimoni è stata Alice Dalle Vacche, primogenita di Donata Bergamini che aveva da poco compiuto 5 anni quando lo zio Denis perse la vita lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico. A condurre l’interrogatorio l’avvocato di parte civile, Alessandra Pisa. Alice ha raccontato i ricordi che ha dello zio: “Ricordo che ogni volta che lui tornava a casa per me era un regalo, era il mio unico zio. Ricordo di essere stata a trovarlo a Cosenza e con lui era sempre un gioco. L’ultimo regalo che mi fece, degli scarponcini per il mio quinto compleanno, non mi erano piaciuti. Lui se ne accorso e andrò subito a comprarmi un gioco”.

Quindi dopo la morte dello zio la sua vita e quella della sua famiglia è drasticamente cambiata: “I primi anni dopo la sua morte i miei genitori ed i miei nonni scendevano spesso a Cosenza per capire cosa fosse successo e mi lasciavano sempre dai nonni paterni. Non ricordo come mi sentissi e cosa capissi al tempo, ricordo solo le tante volte che venivo lasciata dai nonni mentre loro partivano. Poi dopo le prime archiviazioni i loro viaggi in Calabria andarono diminuendo finché dopo la pubblicazione del libro di Petrini non si riaccesero i riflettori sul caso. Per quanto alcune cose fecero male ai miei accolsero di buon grado che si tornasse a parlare del caso di zio e ripresero i viaggi fino a Cosenza. Nel 2007, alla riapertura delle indagini, ero già mamma e vivevo fuori casa ma ho comunque avvertito l’estraniarsi di mia madre che nonostante sia stata sempre presente con me, con i miei fratelli e con i nipoti, non lo era necessariamente con la testa. Lei aveva come unico obiettivo la ricerca della verità e anche nelle serate trascorse insieme ricordo che si assentava anche per ore per rispondere a qualche telefonata o per cercare informazioni online”.

“Anche dal punto di vista economico – ha raccontato – è stata dura. Il nonno negli anni aveva investito ogni suo risparmio nella ricerca della verità, anche per questo dopo la sua morte (avvenuta nel 2020) e il rinvio a giudizio della Internò (settembre 2021) mia madre ha avuto un crollo. L’idea di sostenere un processo con spese di trasferte e avvocati da pagare oltre allo stress emotivo l’hanno messa a dura prova. Si è completamente estraniata da tutto, non usciva e non voleva neanche vederci. Passava le giornate a letto, chiusa in sé stessa. La abbiamo fatta seguire da uno psicologo. Pian piano ne è uscita ma poi ha avuto una ricaduta nella primavera del 2022. Ancora grazie all’assistenza medica ma soprattutto alla sua tenacia ne è uscita e ora, grazie a Dio, sta bene. Quanto ai miei nonni ricordo che mia nonna ha praticamente smesso di vivere e di avere relazioni dopo la morte del figlio, mentre mio nonno ha sempre cercato di tenersi impegnato e ha lottato per la verità fino alla sua morte dopo la quale il peso di proseguire il suo percorso è ricaduto tutto sulle spalle di mia madre”.

Dopo Alice Dalle Vacche ha testimoniato anche Paolo Verri, psichiatra consulente dello studio legale Anselmo al quale lo stesso avvocato si è rivolto per una consulenza sulle condizioni di Donata Bergamini. Lo specialista ha affermato di avere avuto con la sorella di Denis dei “colloqui clinici per comprendere la natura dei disturbi della donna in seguito ai quali, anche grazie alla documentazione del Csm ho potuto distinguere due periodi. Dal 1989 al 2020 Donata è stata per lo più ansiosa ha somatizzato ma è stata capace di reagire. Dopo il 2020 invece si può parlare di malattia depressiva grave e di manifestazioni psicotiche con manie persecutorie e sensazioni di minaccia. Ha cominciato una cura farmacologia che con il tempo è andata scemando ma resta comunque un soggetto fragile e vulnerabile. L’omicidio del fratello è un evento che ha caratterizzato la sua esperienza, con un riacutizzarsi di fenomeni depressivi nel momento in cui sono state riaperte le indagini”.

Nel suo controinterrogatorio l’avvocato di Isabella Internò, anche ieri assente in aula, Angelo Pugliese ha posto l’accento sull’aspetto persecutorio e chiede conto sulla possibile familiarità di fenomeni depressivi o istinti suicidari. Netta la risposta di Verri: “La trasmissibilità di problemi psicopatologici non esiste”.

La presidente della corte, Paola Lucente gli ha chiesto delle condizioni mentali di Donata Bergamini allorquando la sorella del defunto calciatore del Cosenza è stata chiamata a deporre nel corso del processo istruito a caro della Internò, nello scorso mese di marzo: “Ha avuto una ricaduta nel 2022 ma dopo alcune settimane di cura con psicofarmaci si è ripresa ed ha proseguito la cura solo con antidepressivi. A marzo era assolutamente in grado di testimoniare”.

Si torna in aula il prossimo 10 ottobre.

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