Torno da un breve viaggio di qualche giorno in Romagna. Non c’è una sola persona che non abbia ancora negli occhi quanto successo dal 16 maggio in poi. Se qualcuno non ha subito perdite e danni, ha comunque in mente quelli toccati al suo vicino di casa. O ai parenti della frazione vicina. O al luogo di lavoro.
A ogni persona incontrata ho chiesto dell’alluvione. In questi casi l’assenza di domande è sintomo di aridità. Anche le rughe del più anziano degli abitanti si attorcigliavano al pensiero.
In alcune occasioni il dialogo si interrompeva quando denunciavo la mia provenienza. Ferrara. A loro non importava nulla del concerto di Bruce Springsteen. Loro si chiedevano invece come potessimo aver chiesto alla Regione Emilia-Romagna rinforzi dalla Protezione civile che in quei giorni era impegnata nelle zone alluvionate a poche decine di chilometri dal parco urbano.
Già, perché nonostante 600 addetti alla sicurezza dichiarati alla Prefettura, tra forze dell’ordine e vigilantes privati, qualcuno in Comune ha pensato che potessero essere utili alla ‘causa Springsteen’ anche volontari esperti dell’emergenza.
Poco importa se Piantedosi ha assicurato che nessun mezzo e nessun uomo è stato distolto dalle zone di operazione. Noi quella richiesta l’abbiamo fatta.
Bene ha fatto la Protezione civile a rispondere picche a quell’agghiacciante richiesta. Bene ha fatto l’assessore regionale competente a meravigliarsi di tale agghiacciante richiesta.
Ma solo noi non l’abbiamo capito. Lo deduco dalle foto pubblicate di recente dal sindaco Alan Fabbri che festeggia l’incontro a Roma con Bruce Springsteen. Lui crede ancora che il disgusto piovuto sui social sia dovuto solo all’opportunità di sospendere o meno quel concerto.
Non mi sono mai espresso attorno alla performance di Springsteen a Ferrara. Su questo posso solo scriverne banalità. Sicuramente è stato un evento di richiamo eccezionale per la città. Sicuramente è stato accompagnato da una organizzazione perfetta, dall’accoglienza alla gestione della viabilità. Ho pensato fosse effettivamente meglio collocarlo in un luogo alternativo come la zona aeroporto. Su questo giornale abbiamo già dimostrato come le giustificazioni accampate dal Comune come dirimenti fossero fallaci. Il timore, non dimostrabile, è che qualcun altro abbia imposto quella destinazione e il Municipio sia rimasto prono.
Quanto alla fatidica decisione, credo che dovesse essere lo stesso Boss a prenderla. Ma, sembra, lui non era stato informato della tragedia che avveniva tutt’intorno. Poteva dedicare parte del suo cachet alle popolazioni alluvionate. Spero l’abbia fatto. In silenzio.
Ma la vera domanda che da un mese e mezzo dovremmo farci non è se il concerto andava annullato o meno. La domanda è quanto siamo disposti ad accettare affinché un evento come quello si faccia.
E l’assenza di sensibilità di fronte alla sofferenza, l’incapacità di aver chiare le priorità – anche quelle altrui –, il battezzare legittime critiche come strumentalizzazioni politiche in tragedie come queste è la cosa più vicina al senso di vergogna che si dovrebbe provare. Noi non dovevamo fare quella richiesta. È un’onta che ci porteremo dietro per tanto tempo.
Se qualcuno di voi che legge queste righe avrà l’opportunità di parlarne con qualche confratello romagnolo proverà probabilmente lo stesso disagio che ho provato io.
Non posso parlare di sciacallaggio politico e amministrativo, ma se dovessi descrivere quanto accaduto prenderei in prestito una definizione di Marco Paolini, usata nello spettacolo che ha chiuso la stagione di prosa del Comunale: un delitto di lesa realtà.
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