di Camilla Mondini
“Il viaggio della speranza” è un’iniziativa di Nessuno tocchi Caino e ha come obiettivo quello di verificare le condizioni delle carceri e dei detenuti. È iniziato con il carcere di Bologna il 22 maggio, ha fatto seguito la seconda tappa a Ferrara il 23 maggio e continuerà a Piacenza, Parma, Modena, Reggio-Emilia Castefranco-Emilia, Forlì, Rimini e Ravenna.
“Questa mattina ho avuto la possibilità di visitare il carcere di Ferrara grazie ad Andrea Pugiotto, professore ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università di Ferrara – sottolinea il presidente della Camera Penale Ferrarese Pasquale Longobucco – Ferrara è una realtà sopra la media, ma sono presenti comunque delle criticità, l’iniziativa di visitare le carceri ha l’ambizione di portare una visione diversa della detenzione, ci si dimentica troppo spesso dell’aspetto rieducativo della pena. Il lavoro è fondamentale per formare, specializzare e reinserire i detenuti in un contesto sociale. Le statistiche ci dicono che le percentuali di recidiva sono altissime, per questo è fondamentale introdurre il lavoro, un lavoro che non deve essere pensato come una punizione ma come uno strumento per dare dignità al detenuto”.
È intervenuto poi il presidente dell’ordine degli avvocati di Ferrara, Eugenio Gallerani , che ha voluto accendere i riflettori su una visione umanitaria della pena. “Lo spirito di questa iniziativa è quello di monitorare le condizioni delle carceri e dei suoi detenuti, una speranza che si riflette anche sulla realtà ferrarese – esordisce Eugenio Gallerani – è un progetto molto importante per l’attenzione che pone sulla realtà, per questo ritengo che sia di fondamentale importanza divulgarlo e appoggiarlo”.
“I visionari sono creatori di nuove realtà – esordisce il segretario di Nessuno tocchi Caino Sergio d’Elia – quello che noi vogliamo fare oggi è trovare un’alternativa che possa migliorare la condizione degli istituti penitenziari e dei carcerati. Questa mattina – continua – ho visitato il carcere di Ferrara, non ripercorrerò tutte le tappe ma vorrei dare una visione di alcuni aspetti che ho potuto constatare. Quando visitiamo le carceri solitamente siamo noi a scegliere quale è il percorso da compiere, anche in base a ciò che ci sentiamo, abbiamo deciso di partire dal punto più buio per poi risalire. Nelle realtà più profonde vi sono ad esempio le prime accoglienze e gli isolamenti fino ad arrivare all’ultima sezione, quella dei protetti. Nella sezione dei protetti ci sono quei detenuti sottoposti a un doppio codice: il codice penale e quello dei detenuti e comprendono reati di riprovazione sociale, collaboratori e membri delle forze dell’ordine. Nelle condizioni attuali i carcerati perdono totalmente il senno, c’è un’altissima incidenza di quello che viene chiamato “disagio mentale” proprio a causa della condizione di alienazione nella quale si trovano. L’unico modo per risolvere la situazione – conclude – è con la consapevolezza che ad oggi le carceri non siano un luogo di rieducazione. Non è un problema di Governo, è un problema di uno Stato che non ci crede più”.
“Era la prima volta che entravo in un carcere – sottolinea il professore ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università di Ferrara Andrea Pugiotto – ho fatto una visita di quattro ore e ho sentito rumori, volti, odori e racconti che non mi sento di raccontare perché li devo ancora metabolizzare. L’articolo 4 della Costituzione – continua – parla chiaro: la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. A tutti i cittadini, i detenuti non sono esclusi e non si può fare finta che le carceri non facciano parte del contesto sociale di tutti noi. Lo ribadisce anche l’articolo 27 della nostra Costituzione che recita: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del detenuto. Il lavoro è un mezzo di recupero per la persona e volto alla dignità personale”.
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