Cronaca
12 Maggio 2023
Parla l'avvocato di Dj Boogye: "Il suo è un profilo che nettamente stride con la figura di un soggetto appartenente a una associazione criminale di stampo mafioso". La sentenza attesa per il 7 giugno

Processo ai Vikings/Arobaga. “Nessuna somiglianza con le lotte tra le famiglie mafiose italiane”

di Davide Soattin | 5 min

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Un ragazzo con la passione per la musica, che fa fatica a racimolare qualche euro e che vive in condizioni reddituali difficili, tali da non consentirgli neppure di godere di una abitazione popolare. È questo il ritratto che l’avvocato Laura Ferraboschi, legale difensore di Emmanuel Okenwa, in arte Dj Boogye, fornisce del proprio assistito durante l’ultima udienza del processo alla presunta mafia nigeriana, ricostruendo un profilo che “nettamente stride” con la figura di un soggetto appartenente a una associazione criminale di stampo mafioso e dedito allo spaccio di stupefacenti.

Ma più in generale, secondo l’avvocato, a stridere è soprattutto l’associazione – da parte degli inquirenti – del termine “mafia” a un gruppo di persone di nazionalità nigeriana che, stando alle caratteristiche emerse dall’istruttoria dibattimentale, hanno dimostrato “palese sprovvedutezza, condotte decisamente ingenue, la tendenza a rendere pubbliche le loro attività, l’uso di accessori d’abbigliamento e distintivi che contrastano con una ovvia esigenza di riserbo e l’utilizzo di profili sui social network“.

Per Ferraboschi, però, l’ambito in cui l’associazione maggiormente rivela i limiti del suo “prestigio criminale” è quello delle “attività delittuose concretamente svolte” che, se esaminate, forniscono “una sensazione di complessiva mediocrità“. Ne deriva così un “uso della violenza, ma limitata a risse, episodi marginali, occasionali e rozzi, segno di scarsissima intelligenza criminale“.

Un esempio è fornito dalla rivolta dei cassonetti del 16 febbraio 2019 lungo viale della Costituzione, quando un gruppo di nigeriani, convinto che un loro connazionale fosse morto, investito da un’automobile dei carabinieri (in realtà venne investito da un privato mentre fuggiva da un controllo e rimase ferito), protestò in maniera vistosa e violenta in zona stazione contro le forze dell’ordine – polizia, carabinieri e anche esercito -, generando tensione e scandalo.

Un fatto che, secondo il legale di Dj Boogye, in quel contesto, era sintomo di “un malessere sociale, una protesta e non certo si può affermare che sia stato indicativo di qualche mossa derivante da una associazione di stampo mafioso“.

Quanto alla vendita di droga, oltre a sottolineare che il proprio assistito non è “mai stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti“, Ferraboschi aggiunge che “se consideriamo le dimensioni della città di Ferrara e del mercato di stupefacenti, l’attività di spaccio si rileva come un fenomeno criminale decisamente marginale“. “Risulta tuttalpiù – prosegue – che, anche dove si ritenga provata, non deve essere riferita all’associazione in quanto tale, ma ai singoli che agivano in proprio“.

E non solo. “Il fenomeno della pluralità dei cults di origine nigeriana presenti in Italia – spiega – non è in alcun modo assimilabile alle cosiddette lotte tra famiglie che in passato hanno insanguinato la storia delle mafie tradizionali italiane: in questi casi l’unità dell’associazione mafiosa era fuori discussione e i conflitti nascevano semplicemente dai tentativi di ‘scalata’ alla direzione e controllo dell’unica associazione”. Qui, invece, sottolinea, il “preteso potere mafioso dei Vikings si scontra con l’analogo e concorrente atteggiamento di numerose altre associazioni distinte, che i dichiaranti hanno indicato con i nomi di Eiye, Black Axe, Pirates, Buccaneers”.

“Come si può ipotizzare un ruolo egemone intimidatore e produttivo di un generalizzato asservimento, in capo a un sodalizio che condivide e disputa lo stesso bacino di influenza con almeno altre due compagini?” si domanda Ferraboschi.

Nel complesso quindi, evidenziando inoltre che le intercettazioni telefoniche su cui si regge il processo hanno “offerto elementi insufficienti sull’esistenza e la struttura dell’associazione, sulle sue finalità delittuose e sul suo carattere mafioso”, l’avvocato di Emmanuel Okenwa – rivolgendosi al collegio del tribunale, presidente la giudice Sandra Lepore, con a latere i giudici Alessandra Martinelli e Andrea Migliorelli – ha ribadito come “non vi siano elementi adeguati e sufficienti” tali da costituire prova al di là di ogni ragionevole dubbio per i reati contestati al suo assistito.

Sulla stessa linea di Ferraboschi, anche l’avvocato Simona Maggiolini, che difende Irabor Iginosa, tra gli autori dell’aggressione col machete di via Olimpia Morata. “Su 1.500 pagine di requisitoria – afferma Maggiolini – ne ho trovata una sul mio assistito, che non è nemmeno completa. Ci saranno circa una ventina di righe. Stiamo parlando di un fantasma in questo procedimento, considerato solo per i fatti del machete. Si è detto che è omertoso, ma è tutto fuorché quello, considerato anche il comportamento più che corretto proprio nel processo per quell’aggressione, dove ha confessato tutto. È arrivato a Ferrara nel 2017 ed è ancora oggi richiedente asilo. Vive in condizioni di estrema povertà. Ma è una persona tranquilla ed educata e che, all’infuori di quell’episodio, non ha mai creato problemi. Un episodio che non nasce da una guerra tra bande, ma per una partita di droga consegnata in anticipo e per il clima di estrema esasperazione creato da Stephen Oboh (l’aggredito, ndr)”.

Parla, invece, di una “associazione sgangherata” l’avvocato Vittorio Manfio, mentre Roberta Provenzano, legale difensore di Felix Tuesday, rimarca che nella lunga istruttoria dibattimentale “non sia stata fornita alcuna prova” delle condotte che vengono contestate al suo assistito, da lei definito come “battitore libero e semplice spacciatore, senza che avesse alcun collegamento con gli altri imputati. Non c’è una prova – aggiunge – che spacciasse per conto dell’associazione, né che da questa venisse rifornito”. “Parliamo di gente – ha concluso – che si azzuffava tra loro, che hanno una cultura distante dalla nostra, ma non certo intrisa di mafia“. Non ha dubbi, infine, l’avvocato Giampaolo Remondi, evidenziando come a Ferrara “non emerga alcuna proiezione esterna delle situazioni di violenza e intimidazione, che è un tratto distintivo delle associazioni mafiose”.

La sentenza è attesa per mercoledì 7 giugno.

 

 

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